Il decreto legge dell’esecutivo ha modificato la funzionalità dei centri per salvare il progetto dal fallimento. Trasformati in centri di permanenza per i rimpatri, dovrebbero detenere le persone trattenute provenienti da diverse strutture italiane. I primi reclusi dovrebbero sbarcare giovedì. Ma mancano informazioni precise e, secondo le associazioni, il rischio di violazioni è alto. Scarpa (Pd): «Una toppa sullo spreco vergognoso di un miliardo di euro dei contribuenti italiani»
Nuovo decreto, nuovo trasferimento. Con ogni probabilità la prima nave con a bordo persone trattenute pescate da diversi Centri di permanenza per i rimpatri italiani partirà e arriverà giovedì 10 aprile, in Albania, dopo la modifica di funzione voluta dal governo per salvare l’intesa firmata con Edi Rama.
Per mesi i centri costruiti dall’Italia sono rimasti vuoti, in attesa della decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea sulla definizione di paese sicuro. Una pronuncia da cui dipende il futuro dell’accordo Roma-Tirana così come pensato inizialmente: centri per i richiedenti asilo, provenienti da paesi considerati sicuri, salvati dalle autorità italiane in acque internazionali, che possono vedersi applicare le procedure accelerate di frontiera.
Per questo, lo scorso 28 marzo l’esecutivo ha approvato un decreto che modifica la legge di ratifica dell’intesa, consentendo di trasferire nei centri albanesi persone detenute nei Cpr, destinatarie di un provvedimento di espulsione perché non titolari di un permesso di soggiorno.
Opacità
La notizia di un possibile trasferimento circola da giorni, da quando il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha annunciato in un’intervista nuovi spostamenti. Prima alcune agenzie scrivevano che i reclusi sarebbero stati trasportati in aereo, poi si è parlato di nave. Non è dato sapere da quali Cpr siano state prelevate le persone, né quali siano stati i criteri di selezione.
Non sono stati specificati nemmeno il numero preciso o l’origine dei trattenuti destinati ai centri albanesi. Una settimana fa otto trattenuti sono stati portati dal Cpr di Trapani a quello di Brindisi, probabilmente per l’imbarco. A questi dovrebbero aggiungersi altre decine di persone, si parla di 40 o 50.
«L’impressione è che, per responsabilità del governo, siamo al limite dell’improvvisazione», dice la deputata del Partito democratico Rachele Scarpa, che ha visitato il centro di Gjader nella giornata di mercoledì con alcuni rappresentanti del Tavolo asilo e immigrazione.
Nella struttura «ancora semideserta» ha potuto incontrare solo gli operatori di Medihospes, l’ente gestore che a febbraio aveva licenziato quasi tutti i dipendenti. Non erano presenti forze di polizia e la viceprefetta di Roma dovrebbe arrivare giovedì mattina. «Alla vigilia (presunta) del primo trasferimento nel neo convertito Cpr albanese, nemmeno l’ente gestore ha informazioni precise su quante persone, di che nazionalità, e come verranno trasferite», racconta Scarpa, sottolineando come non sia ancora chiaro come avverranno i rimpatri: «Dall’Albania o dall’Italia?», chiede.
Di certo, quello che è arrivato con ufficialità è che i trasferimenti saranno solo via nave, con imbarcazioni della Marina Militare o della Guardia costiera. È complicato immaginare l’uso dell’aeroporto, considerando che ogni trattenuto deve essere scortato da due agenti e, senza un accordo con il paese di Edi Rama, le forze di polizia italiane non possono spostarsi liberamente sul territorio albanese.
Gli stessi dubbi emergono sui rimpatri nei paesi d’origine delle persone portate nel centro di Gjadër. Elementi che fanno presumere che i trattenuti, per essere rimpatriati, dovrebbero essere portati nuovamente in Italia per poi essere condotti nello stato di provenienza. «L’Italia non può organizzare un viaggio di rimpatrio da un altro paese», ha precisato il coordinatore del Tavolo asilo e immigrazione, «perché non è previsto dal protocollo né dalla legislazione».
Per ora non c’è alcuna risposta, ma molta confusione. Sembra quasi che non si stia parlando di persone, che vivono – già nei Cpr italiani – condizioni di vita complicate: senza aver commesso reati, sono rinchiusi in strutture che nei fatti sono carceri, nell’incertezza del loro futuro, spesso in situazioni di abuso di psicofarmaci, conoscono storie di autolesionismo e tentativi di suicidio. Ora, si aggiunge un’ulteriore incognita: il trasferimento in Albania. Ore di viaggio via mare e la reclusione in un territorio isolato, senza alcuna rete a sostegno.
«Evidentemente il ministero», dice Scarpa, «non ha ancora definito con precisione le modalità». «Un’operazione di propaganda», la definisce, segnata da «troppa confusione e troppa fretta», «giocata tutta sulla pelle delle persone deportate: l’unica urgenza che c’era qui, evidentemente, era mettere una toppa sullo spreco vergognoso di un miliardo di euro dei contribuenti italiani».
In commissione
Le associazioni che si occupano di diritto dell’immigrazione hanno sollevato queste criticità durante le audizioni in commissione Affari costituzionali della Camera, dove si sta discutendo della conversione del decreto legge del governo.
Action Aid ha chiesto di non procedere alla conversione del provvedimento, perché «dal punto di vista costituzionale, la decretazione d’urgenza non appare giustificata né dalla necessità né dall'urgenza» e, in questo caso, «non si rileva alcuna emergenza tale da giustificare un intervento straordinario in relazione ai Cpr: quelli attualmente operativi in Italia funzionano spesso al di sotto della loro capienza, pari dal 2017 in poi al 52 per cento della capienza», ha spiegato Francesco Ferri. E, ha aggiunto, c’è il rischio di una violazione del diritto di difesa e della libertà personale.
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