La giornalista Cecilia Sala è stata liberata dal carcere di Evin dove era stata portata senza accuse. Il collegamento con il caso dell’ingegnere iraniano arrestato a Malpensa e il viaggio di Meloni a Mar-a-Lago. La cronologia delle tre settimane che hanno tenuto l’Italia col fiato sospeso
Dopo 21 giorni di reclusione Cecilia Sala, la giornalista di 29 anni del Foglio e autrice di podcast per Chora Media è stata liberata.
Sala si trovava in Iran con un visto giornalistico della durata di otto giorni per raccogliere materiale per il suo podcast. Il 19 dicembre è stata arrestata dalle autorità iraniane mentre era nel suo albergo. Da allora è stata reclusa in una cella di isolamento nel carcere di Evin, dove vengono detenuti dissidenti iraniani e cittadini stranieri. Le accuse, inizialmente, non erano state comunicate.
La notizia dell’arresto, in un primo momento è stata mantenuta riservata, ma le trattative tra il governo italiano e il governo iraniano erano già iniziate. La notizia della sua detenzione è stata resa nota il 27 dicembre.
Nei 21 giorni di prigionia Cecilia Sala ha potuto telefonare a casa tre volte, per pochi minuti, una il giorno dopo l’arresto e una il 26 dicembre. Poi, ancora, il primo gennaio. Nella prima alla famiglia e al suo compagno, il giornalista del Post Daniele Raineri, aveva detto di stare bene e di non essere ferita, ma non le è stato permesso di dare altre informazioni.
La famiglia le aveva inviato un pacco con dei beni di prima necessità che le è stato consegnato con parecchi giorni di ritardo, all’interno anche una mascherina per coprire gli occhi, dato che la luce in cella non viene mai spenta.
L’unica ad aver incontrato la giornalista in carcere è stata Paola Amadei, l’ambasciatrice italiana in Iran, il 27 dicembre.
Il 30 dicembre l’Iran aveva detto che Sala era in carcere per avere violato le leggi della Repubblica islamica dell’Iran, senza specificare quale.
Poi il primo gennaio un’altra telefonata alla famiglia, la terza. Sala ha raccontato di dormire sul pavimento della sua cella al freddo, con due coperte. E ha detto di essere stata privata anche dei suoi occhiali da vista. All’interno della cella non c’era nulla, nemmeno una branda, e le luci sempre accese.
Intanto l’Italia aveva chiesto al governo dell’Iran «garanzie totali sulle condizioni di detenzione di Cecilia Sala» e la sua liberazione immediata. Nel messaggio si chiedeva inoltre la possibilità di inviare generi di conforto e la garanzia che fossero consegnati davvero alla prigioniera italiana.
Il legame con Mohammad Abedini Najafabadi
Da subito emerge che l’arresto di Cecilia Sala possa essere legato a quello di Mohammad Abedini Najafabadi, l’ingegnere iraniano arrestato il 16 dicembre a Malpensa e detenuto nel carcere milanese di Opera in regime di alta sicurezza su richiesta degli Usa che ne chiedono l'estradizione. L’accusa per l’uomo è quella di aver passato a Teheran componenti per l'assemblaggio di Shahed, i droni iraniani, che un anno fa in un attacco in Giordania hanno causato l’uccisione di tre militari americani. Il 15 gennaio è prevista l'udienza della corte d’appello di Milano per discutere la richiesta dei domiciliari avanzata dalla difesa di Abedini. L’istanza ha il parere negativo della Procura generale di Milano. Washington fa sapere di essere contraria alla scarcerazione.
Teheran conferma legami tra i due casi
Il 2 gennaio il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha convocato l’ambasciatore iraniano, Mohammad Reza Sabouri, al ministero. Dopo l’incontro Sabouri ha pubblicato un lungo messaggio sui social media dell’ambasciata, in cui affermava che le condizioni di detenzione di Sala in Iran sarebbero legate in modo reciproco a quelle di Mohammed Abedini Najafabadi.
La richiesta di silenzio stampa
Venerdì 3 gennaio, i genitori di Sala hanno comunicato il proprio desiderio di astenersi da commenti e hanno chiesto senso di responsabilità, riservatezza e discrezione, anche attraverso un silenzio stampa, per non vanificare gli sforzi delle trattative delicate, che alla fine hanno portato al risultato di oggi. «La fase a cui siamo arrivati è molto delicata e la sensazione è che il grande dibattito mediatico su ciò che si può o si dovrebbe fare rischi di allungare i tempi e di rendere più complicata e lontana una soluzione», il messaggio dei genitori della giornalista.
Meloni a colloquio con Trump
Il 5 gennaio la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, ha incontrato il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida, in una visita improvvisa. Al centro dell’incontro ci sarebbe stata anche la liberazione di Cecilia Sala. Intanto l’Iran aveva sostenuto che l’arresto di Sala non era una ritorsione per l’arresto del cittadino iraniano Abedini da parte dell’Italia su mandato Usa. «Non è correlato ad alcuna altra questione», aveva dichiarato la portavoce del governo di Teheran Fatemeh Mohajerani, e la portavoce del ministero degli Esteri, Esmail Baghaei aveva fatto sapere che era stata aperta un’inchiesta sulla giornalista.
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