John Dewey sosteneva che non sarebbe un buon segno se un tema rilevante come quello dell’educazione non fosse un campo di battaglia. Era il 1938, non esistevano ancora le indagini Pisa e Piaac ma già si scontravano tradizionalisti e progressisti su cosa servisse per rendere la scuola un posto davvero democratico. In realtà già qualche annetto prima un certo Comenio si chiedeva come insegnare tutto a tutti partendo dal presupposto che in caso di fallimento non serva a molto dare la colpa agli studenti. Se esistesse un paradiso dei pedagogisti adesso sarebbero lì a discutere dei nuovi risultati delle indagini Ocse chiedendosi come mai in alcuni paesi proprio la scuola sembra non credere alla pedagogia. Nonostante la insegni in certi indirizzi delle superiori e all’università, quando arriva il momento di applicarla è come se termini come “apprendimento cooperativo" o “valutazione formativa" diventassero vocaboli fantascientifici o nomi di incantesimi utilizzabili solo nel Comprensivo di Hogwarts.

L’indagine Piaac consegna nuovamente l’impressione che qualcosa non funzioni nel nostro sistema scolastico. Oltre a confermare la questione delle disuguaglianze tra nord e sud e tra classi sociali, i dati raccontano, anche contro il sentire comune, che non è vero che tutta la scuola non funziona. Ma, come diceva Tullio De Mauro nel 2014 alla presentazione dei risultati del primo ciclo della stessa ricerca, pare smettere di funzionare alle superiori e all’università.

E così, anche se ogni sistema scolastico deve fare i conti con il contesto in cui è calato, i risultati eccellenti di Svezia e Finlandia inducono a pensare che un “ritorno” alla scuola di una volta – fatta di trasmissività, competizione e obbedienza – non è la soluzione. Invece di gridare alla crisi della scuola o scagliarsi in maniera elitaria contro la massa analfabeta del paese, possiamo guardare a ciò che quei paesi hanno messo in campo in questi anni.

In Finlandia

In Svezia e Finlandia la scuola superiore si sceglie a 16 anni, prima c’è un ciclo unico simile alla nostra primaria dove si promuove l’apprendimento attraverso l’esperienza (Learning by doing) e fino a 13 anni non ci sono voti. In quei paesi si è scelto di prolungare il lavoro sulle competenze trasversali senza creare un salto netto a 10 anni in una scuola come la nostra media, dove c’è un insegnamento più compartimentato e disciplinare. Ha senso mantenere questa impostazione quando i dati dicono che il passaggio dalle medie alle superiori è il punto dove si crea la separazione sociale per classe, genere e provenienza?

La ricerca contraddice il fatto che un maggior numero di ore di sacrificio e impegno sia conseguenza di migliori risultati. In Finlandia la scuola inizia alle 9/9:30 e finisce alle 14 con 15 minuti di riposo tra ogni lezione. I compiti vengono svolti specialmente a scuola. L’obiettivo è mantenere il tempo libero a casa per attività extrascolastiche, promuovendo l’equilibrio tra studio e vita personale.

È possibile, visto che anche le ricerche dell’Oms sembrano confermare una sofferenza degli studenti italiani legata alla vita scolastica, cambiare il carico di studio puntando più alla qualità che alla quantità?

Un altro campo di battaglia, come lo chiamerebbe Dewey, è quello dei voti. In Finlandia la valutazione ha l’obiettivo di promuovere l’apprendimento e non di certificare allo studente di turno se è abbastanza bravo o no per la scuola che sta frequentando.

In Finlandia tendono a non dare valutazioni negative agli allievi per non diminuire la loro motivazione. Nel biennio della scuola secondaria italiana, in quel punto di passaggio tra l’obbligo scolastico e l’obbligo formativo, invece c’è la più alta percentuale di bocciature. Anziché ripristinare il voto di condotta (che in Svezia non esiste) potrebbe aver senso sostituire la votazione numerica con processi valutativi più indirizzati all’apprendimento?

De Mauro, nella stessa presentazione del 2024, disse che la scuola secondaria dal 1900 a oggi non è cambiata. Infatti, se Dewey avesse avuto la macchina del tempo e fosse approdato in un’aula delle superiori di oggi, non avrebbe rischiato shock temporali: la disposizione dei banchi, la lezione trasmissiva, le interrogazioni, i voti, gli avrebbero permesso di ambientarsi prima di uscire nel mondo contemporaneo. Così, quello che possiamo chiederci dopo i risultati Piaac, non è tanto se sono meglio i giovani o gli adulti, ma se qualcuna delle pratiche dei sistemi scolastici in cima alle classifice è adattabile al nostro contesto.

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