Riad, Abu Dhabi e Doha hanno scongiurato la paura peggiore: ovvero l’introduzione di dazi energetici che hanno colpito invece Iraq, Algeria e Libia. Tariffe al 41 per cento per la Siria. Per Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti si aprono nuove opportunità
L’eco delle dichiarazioni in pompa magna del presidente Donald Trump al “Liberation day” si è diffuso in poche ore in tutto il mondo. L’Europa e paesi come Giappone e Cina hanno reagito pubblicamente senza mezzi termini e hanno anticipato contromisure. A Roma la premier Giorgia Meloni ha convocato un vertice di emergenza con i suoi ministri a Palazzo Chigi. Più in silenzio, invece, i paesi arabi. Alcuni di loro come Siria e Iraq sono stati colpiti duramente, altri hanno schivato la furia di Trump e sono i ricchi stati del Golfo Persico che sono stati inseriti, per il momento, soltanto nella lista dei dazi reciproci al 10 per cento.
Riad, Abu Dhabi e Doha hanno scongiurato la paura peggiore: ovvero l’introduzione di dazi energetici che in Medio Oriente e Nord Africa hanno invece colpito la Libia (31 per cento), l’Algeria (30 per cento) e l’Iraq (39 per cento). Una delle ragioni è quella di non voler stravolgere i mercati energetici statunitensi ed evitare di far salire i prezzi del carburante. Come ricorda il quotidiano della monarchia saudita, il petrolio e il gas rappresentano oltre il 60 percento delle esportazioni di Riad verso gli Stati Uniti.
Superata la questione energetica, come mai i paesi del Golfo non hanno ricevuto dazi maggiori? La motivazione è principalmente di natura economica. La bilancia commerciale con gli Stati Uniti è molto in favore di Washington, che invece ha deciso di introdurre dazi nei confronti di quei paesi dove esiste un deficit commerciale, per contrastare quelle che a detta del tycoon sono pratiche sleali.
Con gli Emirati Arabi Uniti, per esempio, Washington vanta un surplus commerciale di 19.5 miliardi di dollari nel 2024. Esporta per 27 miliardi di dollari e importa per 7.5. Numeri nettamente a suo favore. Positivi anche i bilanci con Arabia Saudita (+443 milioni), Qatar (2 miliardi), Oman (634 milioni), Marocco (3.4 miliardi), Kuwait (768), Bahrain (441) ed Egitto (3.5 miliardi). Bilancia commerciale negativa, invece, con i paesi che hanno ricevuto dazi più alti. Primi fra tutti l’Algeria (-1.4 miliardi), seguita dalla Giordania (-1.3 miliardi), Libia (898 milioni) e Tunisia (619 milioni).
«Trump gioca una doppia partita, da un lato aumenta i dazi a paesi come Libia, Algeria e Iraq anche perché li ritiene concorrenziali in materia energetica in sede Opec e come esportatori di Oil&Gas globali. Dall’altra ha una visione che è quella di tutelarsi nei confronti di paesi vicini in chiave ideologica. Trovare una ratio assoluta non è chiaro, ma Trump sta facendo valere diverse logiche intorno allo stesso tavolo», spiega Giuseppe Dentice analista nell’Osservatorio Mediterraneo (Osmed) dell’Istituto di studi politici S. Pio V.
Cosa accade ora?
L’esclusione da parte dei paesi del Golfo Persico dai dazi più alti può portare anche a un vantaggio di lungo periodo per le già ricche monarchie. Le aziende dei paesi più colpiti inventeranno altri modi per aggirare l’aumento delle tariffe e tra questi c’è sicuramente uno dei metodi indiretti di commercio, come la triangolazione. Funziona in maniera semplice: le aziende di un paese colpito da dazi esporta i suoi beni verso un paese terzo (non colpito o con tariffe molto più vantaggiose) che poi li riesporta verso la destinazione finale. E Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti hanno le capacità e gli hub logistici adatti per gestire una mole più ampia di commercio internazionale.
Non è un caso infatti se mentre negli Stati Uniti e in Europa le Borse sono crollate, quella del Qatar ha guadagnato lo 0.46 per cento. Sintomo di una fiducia degli investitori e una minore esposizione ai rischi della politica commerciale aggressiva adottata da Donald Trump.
«In questo scenario, i paesi del Golfo – e in particolare gli Emirati – emergono come un partner strategico di primo piano per le nostre imprese, anche a seguito dei recenti accordi firmati a Roma tra i due paesi. Gli Emirati non solo offrono un ambiente economico, sociale e politico stabile, ma rappresentano anche un hub logistico e commerciale di accesso privilegiato all’intero Medio Oriente, all’Asia e all’Africa», dice Giovanni Bozzetti, presidente di Efg Consulting, tra i principali esperti di strategie di internazionalizzazione verso gli Emirati.
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