Fedele De Novellis, economista e partner diretto di Ref Ricerche, osservatorio economico indipendente che produce analisi e studi per istituzioni, aziende e organismi governativi: «Non temo l’inflazione, ma le imprese dovranno capire come gestire le tariffe doganali e questo già nei prossimi mesi avrà degli effetti sull’occupazione, sulla domanda di prodotti e sulla disponibilità economica delle famiglie»
Delocalizzazioni, licenziamenti, riconfigurazione dei mercati e riduzione della logistica legata al trasporto delle merci. All’indomani dell’annuncio dei dei dazi statunitensi del 20 per cento sulle importazioni europee sono questi i rischi peggiori che intravede Fedele De Novellis, economista e partner diretto di Ref Ricerche, osservatorio economico indipendente che produce analisi e studi per istituzioni, aziende e organismi governativi.
«Non temo l’inflazione, ma le imprese dovranno capire come gestire le tariffe doganali e questo già nei prossimi mesi avrà degli effetti sull’occupazione, sulla domanda di prodotti e sulla disponibilità economica delle famiglie», dice De Novellis.
Con i dazi al 20 per cento i consumatori statunitensi saranno disincentivati ad acquistare prodotti europei, che quindi potrebbero rimanere invenduti, come faranno le imprese a recuperare i costi? Si inizia a parlare di aumenti trasferiti sul carrello della spesa degli italiani.
Non penso che l’effetto dazi si tradurrà su un rincaro dei beni di consumo negli scaffali dei supermercati italiani ed europei. I rialzi li vedranno nell’immediato i consumatori americani, il che potrebbe portare a rincari nei costi di produzione, è su questo che bisogna ragionare. È importante precisare però che ogni prodotto subirà conseguenze diverse. Nel settore dei vini, per fare un esempio, è possibile che alcune bottiglie invendute negli Usa vengano poi reimmesse nel mercato interno, creando così un surplus di disponibilità che potrebbe non essere subito riassorbito, e tradursi in un abbassamento dei prezzi.
Quali crede siano gli scenari possibili?
All’inizio le aziende cercheranno di mitigare la perdita di quote di mercato accettando una compressione dei margini profitto sugli Stati Uniti, ridurranno cioè il prezzo prima della tariffa, per far sì che l’aumento per il consumatore americano non sia così ampio o sia pari a zero. Una strategia del genere è verosimile, però non può durare a lungo, e anche in questo caso si ragionerà diversamente in base ai settori. Per alcuni ci sarà il rischio che l’azienda delocalizzi in modo da ridurre i costi di produzione, in altri che un mercato venga abbandonato, quindi che il produttore italiano ridimensioni le strutture.
Quindi il rientro del fatturato si avrebbe con una revisione dei costi dell’occupazione?
È uno scenario possibile, ed è per questo che – almeno per adesso – non vedo il pericolo di un incremento dei prezzi, ma piuttosto di un rallentamento della crescita. C’è da dire però che il settore fa davvero la differenza, e non si può delocalizzare per ogni mercato: negli Usa si può trasferire una vigna e produrre vino in poco tempo, e si può assumere un casaro italiano per lavorare il formaggio fresco, ma creare un impianto per la stagionatura di un formaggio come il Parmigiano da zero è più complicato.
Pochi giorni fa nel corso di un intervento a Milano lei ha ricordato che il 2025 doveva essere l’anno della ripresa dei consumi, trainata dal recupero del reddito delle famiglie legato alla discesa dell'inflazione. I dazi al 20% cambiano questa prospettiva?
Non mi aspetto per l’Italia un effetto inflazionistico, che invece credo si verificherà negli Usa. Mi attendo che si intervenga con politiche di bilancio e che la Banca centrale europea intervenga sui tassi di interesse. La crescita però sarà più lenta e molto dipenderà dalle Banche centrali. L’altra cosa che va detta è che questo tipo di shock potrebbe portare a un rallentamento dell’economia, che stiamo già vedendo nella riduzione dei costi di alcune materie prime.
Che tipo di materie prime?
Quelle legate al trasporto merci per esempio. Si sta già verificando sul petrolio, la cui quotazione è scesa in poche ore da 74 a 71 dollari dopo l’annuncio di Donald Trump. Personalmente mi aspetto che si apriranno delle trattative sull’entità delle tariffe appena decise, ma i mercati stanno già prevedendo una riduzione della movimentazione dei beni e degli scambi commerciali, e gli effetti si sono già visibili.
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