La nuova stretta del governo per «criminalizzare il dissenso» fuori e dentro gli istituti penitenziari. E rende più facile il carcere per le donne incinte o madri di figli piccoli. Paolo Siani: «Norma inutile e gratuita che non tiene in considerazione il bambino»
Reati, sempre più reati. E pene, sempre più severe. Si potrebbe riassumere così il Ddl Sicurezza, il pacchetto di norme securitarie presentato dal governo che lo scorso 18 settembre ha ricevuto il primo via libera della Camera dei deputati.
«Non sono io ma è stato l’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ndr) a dire che è un testo che mina le basi dello Stato di diritto. Va a criminalizzare grandi problemi come quello dell’abitare e, più in generale, ogni forma di dissenso», afferma Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, in riferimento alle disposizioni che, tra le altre cose, trasformano in illecito penale il blocco stradale, introducono il reato di «rivolta in carcere», sanzionano i comportamenti di «resistenza passiva», eccetera. Antigone, che da oltre 30 anni si occupa di diritti umani nelle carceri, si è schierata da subito – insieme ad altre sigle politiche, sindacali e associazionistiche – contro la «deriva liberticida» del governo.
Il diritto penale come (unico) strumento
«Da quando c’è questo governo ogni mese si fa un decreto o un ddl in cui si introducono nuovi reati e si alzano le pene per quelli esistenti – denuncia Susanna Marietti –. Penso al “decreto rave” o al “decreto Caivano”, dove si è andati a incidere su fatti di lieve entità ma che danno un peso quantitativo nelle carceri».
Il diritto penale come (unico) strumento e il carcere come soluzione. In un Paese – l’Italia – che conta più di 5mila fattispecie di reato e che, secondo il XX rapporto di Antigone, ha 13.500 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare (al 31 marzo 2024 erano 61.049 le persone in cella, a fronte di 51.178 posti). Il Ddl Sicurezza, secondo i calcoli di Pagella Politica, si propone di introdurre una trentina tra nuovi reati, aggravanti, sanzioni e ampliamenti di pena.
«Il penale sembra essere la soluzione primaria. Il governo pensa che i problemi non si risolvono con politiche sociali, economiche, del lavoro. La soluzione sembra essere solo la repressione – spiega Marietti –. All’interno delle politiche penali la fa da padrone la risposta carceraria perché c’è la retorica che, in caso contrario, non ci sarebbe la certezza della pena. Ma è una narrazione da facile consenso e basta».
A pochi giorni dal suo insediamento, dopo un rave party illegale nel modenese sgomberato con difficoltà, il governo Meloni ha varato un decreto ad hoc. Così come dopo la strage di migranti a Cutro e, come si è già detto, dopo gli stupri di Caivano. Ora, nel nuovo pacchetto di norme che sta per passare all’esame del Senato, è prevista un’aggravante per chi protesta contro le «grandi opere», all’alba delle manifestazioni che inevitabilmente ci saranno sul contestatissimo Ponte sullo Stretto (e non solo). «Si rincorre l’attualità, quello che il diritto penale non dovrebbe fare mai», aggiunge la coordinatrice nazionale di Antigone.
Una stretta anche all’interno delle carceri
Non si prevede soltanto una stretta per determinate azioni e gruppi sociali, rendendo più semplice finire in carcere, ma le nuove disposizioni guardano anche a chi in cella c’è già. L’articolo 26 del Ddl sicurezza introduce il nuovo reto di «rivolta all’interno di un istituto penitenziario» (ma anche nei Cpr o nei centri di accoglienza per migranti), laddove già esisteva un’aggravante per le proteste all’interno delle carceri. Con una reclusione (ulteriore) da uno a cinque anni e il novero, tra gli «atti di resistenza», anche dei comportamenti di «resistenza passiva», non violenta per definizione.
«La rivolta violenta è già punita. Anche qui si vuole dare un segnale simbolico per come sono andate le cose negli ultimi mesi, dove quelle che loro chiamano “rivolte” e io chiamo “proteste” sono state numerose come non mai – spiega Marietti –. Ma chi protestava lo ha fatto perché chiedeva qualcosa e aveva bisogno di un ascolto. Queste persone le stiamo facendo vivere in maniera indegna, non ci sono tanti modi per farsi ascoltare in carcere. Non c’è stato nessuno dall’amministrazione e dalla politica che ha provato a dialogare, la risposta è stata sempre e solo di tipo repressivo».
Le carceri sono luoghi sovraffollati dove spesso si sta in otto in celle da quattro, spiega la coordinatrice nazionale di Antigone, e dove si sta chiusi tutto il giorno, tranne le ore d’aria previste per legge, nonostante una sentenza della Corte di Strasburgo avesse previsto nel 2013 che le porte dovessero restare aperte almeno otto ore al giorno. «Ora le abbiamo richiuse tutte – sottolinea Marietti –. E il governo che fa? Davanti a queste condizioni criminalizza anche la resistenza a un ordine che tra l’altro non viene neanche qualificato come “ordine legittimo”. Potrà essere perseguito anche lo sciopero della fame? Io spero che la magistratura sia più lungimirante di questa politica, però in teoria potrebbe rientrarci».
Il carcere per le donne incinte
Tra i 38 articoli del Ddl Sicurezza ce n’è uno – il quindicesimo – che modificherebbe le disposizioni per le donne incinte o con bambini con meno di un anno di età. Attualmente il rinvio dell’esecuzione della pena, come la detenzione in carcere, è obbligatorio. Secondo i numeri più aggiornati, oggi in Italia ci sono 19 mamme con 22 bambini in cella, sparsi tra le sezioni nido carcerarie e gli Icam (Istituti a custodia attenuata per le detenute madri). Il nuovo disegno di legge vuole eliminare questa obbligatorietà rendendo il rinvio facoltativo e semplificando la possibilità di finire dietro le sbarre per le donne in gravidanza o con figli piccoli.
«Questa norma sulle donne in carcere è inutile e gratuita», denuncia Paolo Siani, ex deputato del Partito democratico e primo firmatario, nella scorsa legislatura, di una proposta di legge sul tema, approvata a larghissima maggioranza alla Camera ma poi arenata a colpi di emendamenti del centrodestra quando, nell’attuale legislatura, è stata riproposta in un’identica versione. «La narrazione che viene fatta presenta questa disposizione per colpire le borseggiatrici rom che stanno nelle metropolitane, ma la verità è che costituiscono una piccola percentuale del problema. Si continua a dire che mettono al mondo in continuazione figli per essere impunite. La soluzione del governo è il carcere, ma quello che più mi fa inorridire è che non si pensa al bambino», aggiunge Siani.
Dietro le sbarre, nel caso di donne incinte o con figli piccoli, si va in due. Con conseguenze devastanti sulla crescita di un bambino. È proprio per ribaltare questa prospettiva che la legge Siani proponeva, tra le altre cose, il divieto della custodia cautelare in carcere per le detenute madri con figli di età inferiore ai sei anni e, parallelamente, di privilegiare – anche con finanziamenti finalmente sufficienti – le case famiglia come luoghi alternativi ma più adatti in cui scontare la pena.
«Anche se in utero, il bambino c’è e in carcere subisce danni prima ancora di vedere la luce, e anche la madre ha bisogno di vivere in un contesto il più idoneo possibile – spiega Siani –. La legge oggi in vigore già prevede la pena in case famiglie protette. Quando il governo dice che non mette le donne in carcere ma negli Icam, come se fosse una cosa molto diversa, dimostra che non ne ha mai visitato uno perché è comunque un carcere».
Questa modifica, per Siani, non tiene in considerazione l’interesse del minore. «Se un bambino ha la sfortuna di nascere con una madre in carcere e, nella maggior parte dei casi, anche il padre, si avrà sicuramente un altro borseggiatore o borseggiatrice. Non avrà altre chance, è come nascere con una malattia ereditaria. Questa è la miopia di un governo che non si accorge che, per rispondere a una narrazione marginalissima del problema, fa un danno enorme», conclude.
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