Il 28 settembre ricorre l’International safe abortion day. In tante città associazioni e realtà femministe in piazza per chiedere che il diritto all’accesso all’aborto sia libero, sicuro e gratuito: dopo 46 anni, infatti, non è ancora garantito e, nelle regioni guidate dal centrodestra, è sempre più ostacolato. Gli obiettori, in Italia, sono quasi 7 su 10
In Italia, nonostante il voto del Parlamento europeo per l'inserimento del diritto all'aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, l’accesso al diritto all’aborto e alla salute sessuale e riproduttiva è sotto un feroce attacco, che non accenna a scemare.
L’accesso alla pillola abortiva è ostacolato e la sua somministrazione troppo spesso negata nei consultori e negli ospedali con l’aggravio della presenza, sempre più massiccia, di personale obiettore e di associazioni antiabortiste negli ospedali pubblici.
Nella giornata odierna, in tutto il paese, le piazze accoglieranno i molteplici appuntamenti in occasione della giornata internazionale a difesa dell’aborto sicuro e libero: tutto ciò in un tempo in cui le politiche di governo sfruttano la propaganda familista per attaccare i corpi e la libertà di scelta delle donne minandone, di fatto, l’autodeterminazione.
Torino e Milano: più antiabortisti e meno consultori
All’ospedale Sant’Anna di Torino, da lunedì 9 settembre, è aperta la “Stanza per l’ascolto”, uno sportello aspramente contestato dalle associazioni femministe, da sindacati e da alcuni partiti di centrosinistra. Un luogo gestito da associazioni di volontari che si rifanno all’associazione antiabortista “Movimento per la vita”, finanziato con soldi pubblici, voluto e difeso strenuamente dall’assessore alle Politiche sociali e all’integrazione socio-sanitaria regionale di Fratelli d’Italia, Maurizio Marrone.
Il movimento transfemminista Non una di meno (Nudm) Torino, sentito da Domani, racconta che «la Regione, nella persona di Maurizio Marrone come Assessore al welfare, ha approvato il finanziamento di associazioni antiabortiste a partire dal 2022, attraverso l’istituzione di un fondo dedicato, detto “Fondo di vita nascente”». Nel 2024, il Fondo vita nascente, «è alla terza tranche di finanziamento, che arriva ad una cifra totale di 2,34 milioni di euro: soldi pubblici che non andranno a consultori e ospedali ormai allo stremo», quasi privi di personale non obiettore, ma che «andranno a finanziare la propaganda ideologica di associazioni antiabortiste: un ulteriore ostacolo per le persone che vogliono interrompere una gravidanza».
Per Nudm, «le informazioni a riguardo non sono per nulla trasparenti: sia per quanto riguarda la fase di assegnazione della stanza all’insieme di associazioni, unite sotto al nome “Movimento per la vita”, e dunque in merito ai meccanismi che sono stati messi in atto per dar loro legittimità. Alcune realtà, infatti, hanno avviato una procedura legale per chiedere trasparenza nella documentazione per le assegnazioni».
Questo modello esiste anche in altre regioni come la Lombardia dove, all’interno degli spazi ospedalieri pubblici, possono entrare in modo ufficiale associazioni antiabortiste: il Consigliere regionale Luca Paladini pochi giorni fa, grazie a un'interrogazione riportata dal progetto “Ivg: ho abortito e sto benissimo”, ha fatto emergere come in regione Lombardia ci siano 44 Centri di aiuto alla vita presenti sul territorio lombardo, di cui 18 nei consultori e negli ospedali.
Per quanto riguarda l’accesso ai consultori, secondo la Cgil Lombardia, dal 2021 ne sono stati chiusi dieci; portando il rapporto di un consultorio ogni 38.319 abitanti a fronte della normativa che ne prevede uno ogni 20 mila.
donne con background migratorio: 1200 euro per abortire
Gli attacchi al diritto all'autodeterminazione delle donne, in Piemonte, erano iniziati a partire dal 2021: la Regione Piemonte, infatti, aveva vietato la somministrazione della pillola abortiva RU486 all’interno dei consultori, disattendendo completamente le linee guida dell’allora ministro della salute Roberto Speranza.
Il diritto di scelta su come abortire, già minato dalle scelte regionali, si unisce a continue difficoltà di accesso all’aborto, come racconta a Domani Martina Carpani della Consultoria Transfemminista Fam e di Nudm Torino, che si occupa anche di accompagnamento agli aborti per «donne che hanno difficoltà ad accedere alle procedure ospedaliere e soprattutto con donne con background migratorio che hanno difficoltà d’accesso all’Ivg (interruzione volontaria di gravidanza): nonostante in Italia sia una procedura considerata d’urgenza, nella realtà bisogna avere tutta una serie di documenti e ci si trova a dover dimostrare che la persona fosse qui da più di tre mesi, raccogliendo scontrini, carte telefoniche e documenti dalla Questura, perchè possano beneficiare di questo diritto».
Un diritto sempre più discrezionale e non strutturale, rispetto alla tipologia di personale che si trova nei consultori e nelle strutture ospedaliere: «tante ragazze neo maggiorenni con background migratorio si sono sentite dire che avrebbero dovuto pagare un Ivg farmacologica 1200 euro. Se non ci avessero trovate, non sarebbero riuscite ad abortire». L’accesso al diritto all’aborto è dunque assai più difficoltoso per le persone migranti, come anche per le persone trans, non binarie e intersex.
C’è poi l’ennesimo attacco dei movimenti anti scelta, piazzati davanti alle cliniche ospedaliere dove si effettuano gli aborti «a Torino ci sono i picchetti delle associazioni antiabortiste durante le giornate dove si effettuano le Ivg, soprattutto al Sant’Anna, con cartelli con immagini di feti e la scritta “assassine”» e a livello di personale sanitario c’è una percentuale «del 60 per cento circa di medici obiettori, nelle province del Piemonte ormai è praticamente impossibile abortire».
Attacco istituzionalizzato
Sono undici, in Italia, le regioni in cui c’è almeno un ospedale con il cento per cento di obiettori: Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto. In Piemonte, il collettivo Non una di Meno Torino insieme alla rete piemontese, ha deciso di «unire le forze e avere un appuntamento comune a Torino con un presidio davanti all’Ospedale Sant’Anna a partire dalle 15: per il rischio di un modello che potrebbe estendersi, come è stato dichiarato da alcune figure politiche, a tutta la regione».
Elisa Visconti, Direttrice di Medici del Mondo Italia, è parte di una rete internazionale e lavora in oltre quaranta paesi del mondo per la tutela al diritto alla salute e, come organizzazione umanitaria, lavora in prima linea per curare le persone e per ripristinare la costruzione di sistemi sanitari interrotti. In linea con l’Oms, si occupa anche di salute sessuale e riproduttiva e all’accesso al diritto all’aborto libero e sicuro. Elisa Visconti, in merito alla situazione italiana, afferma a Domani che hanno deciso di impegnarsi «a documentare quali siano le barriere d’accesso al diritto all’aborto.
Ce ne sono tante perché la 194, al suo interno, ha delle zone grigie che immediatamente sono state sfruttate da quei gruppi che il diritto all’aborto lo combattono, infilandosi nelle maglie della legge». Visconti ricorda che non esiste un monitoraggio capillare con dei dati del Ministero della Salute sull’accesso all’aborto, «la realtà è che ci sono molte regioni in cui l’obiezione strutturale esiste al cento per cento, con tassi altissimi di obiezione di coscienza in tutta Italia».
Queste pesantissime opposizioni al diritto all’aborto, stanno diventando politiche di deterrenza vera e propria: «vengono stanziati apertamente dei fondi pubblici per inserire gruppi contrari all’aborto in strutture sanitarie pubbliche, come ospedali e consultori» e tutto ciò avviene con poca trasparenza, «è difficile tennere traccia di questi accordi territorio per territorio: c’è un attacco istituzionalizzato al diritto all’aborto e questo ci preoccupa».
Su quello che accade a Torino con la stanza d’ascolto, Visconti sottolinea che «questi attacchi e queste politiche di deterrenza avvengono nonostante nei Lea, i livelli essenziali di assistenza, sia incluso il diritto all’aborto. È una prestazione sanitaria essenziale che fa capo al diritto costituzionale alla salute, siamo obbligati a fornirla su tutti i territori».
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