M. ha 76 anni, conta le monete alla cassa del supermercato. Nel carrello non ha molto: del pane confezionato, del latte e due banane. Parlando alla commessa, dice che la pensione non basta più, perché tra visite mediche e bollette, non gli rimangono più soldi per avere un piccolo aiuto nelle faccende domestiche. Il suo Isee, al momento, pur essendo molto basso ma poco al di sopra del requisito dei 9.360 euro, non gli permette di ricevere l’assegno di inclusione.

Questa è una delle tante storie che si moltiplicano in un tempo funesto: nel 2023, la popolazione in povertà assoluta è salita al 9,8 per cento e quasi un cittadino su dieci vive senza potersi permettere le spese essenziali per condurre uno standard di vita minimamente accettabile.

I dati del Rdc

Proprio sulle misure di contrasto alla povertà, i dati raccontano quanto il Reddito di cittadinanza (Rdc) abbia influito nell’avere un sostegno di Stato. A giugno, infatti, sono stati resi noti i dati relativi alla valutazione d’impatto del Reddito di cittadinanza e della Pensione di cittadinanza nell’intero periodo in cui è stato in vigore, da aprile 2019 a dicembre 2023.

Secondo l’Osservatorio statistico dell’Inps, hanno percepito il sussidio di integrazione al reddito, per almeno una mensilità, circa 2,4 milioni di nuclei familiari e 5,3 milioni di persone. Ma i numeri imponenti del Rdc, non sono stati sufficienti ad arginare il fenomeno della povertà estrema, visto che, sempre secondo quanto riferito dal Ministero del lavoro, nel 2021 solo il 38 per cento delle famiglie in povertà assoluta ne hanno beneficiato.

Viene quindi messa in evidenza, nella relazione del Comitato tecnico della rete “Alleanza contro la povertà”, la mancata copertura di un rilevante numero di famiglie povere. Ne emerge un quadro che le stime effettuate da Euromod, il modello di microsimulazione fiscale-previdenziale per l’Unione europea, confermano: l’Italia è tra i paesi che prevedono un elevato importo dell’integrazione al reddito in relazione alla soglia di povertà, ma con livelli di copertura del numero delle persone povere inferiori alla media europea.

Assegno di inclusione

Secondo i dati dell’Inps sull’Assegno di inclusione (Adi), al 30 giugno, nei primi sei mesi del 2024, sono state accolte circa 698 mila domande, che fanno riferimento ad altrettanti nuclei familiari e che coinvolgono circa 1,68 milioni di cittadini. I nuclei beneficiari si concentrano nelle regioni del Sud e nelle Isole, raggiungendo il 69 per cento del totale.

Non ci sono ancora dati relativi a quante domande, ad oggi, siano state respinte: «chiediamo di approfondire la questione in relazione alle misure oggi vigenti», sottolinea Antonio Russo, portavoce dell’Alleanza contro la povertà, che ha anche posto delle raccomandazioni. Tra queste, l’aggiornamento della soglia del reddito annuale all’inflazione, la necessità di integrare il sussidio con misure personalizzate, il potenziamento di politiche attive del lavoro e l’innalzamento della cumulabilità tra l’indennità di sostegno al reddito e i salari percepiti.

La sospensione del Reddito di cittadinanza è divenuta realtà per circa 160 mila nuclei familiari e la rete Alleanza contro la povertà ha chiesto, da un lato, che la sospensione del sostegno economico sia momentaneamente derogata, con un prolungamento dell’erogazione del RdC, dall’altro che i Comuni «siano messi nelle condizioni di far fronte alle richieste e di esercitare le funzioni che la legge assegna agli enti locali». Alleanza contro la povertà ribadisce la necessità di «migliorare la legge che ha riformato lo strumento di sostegno minimo al reddito intervenendo sull’Adi». A questo scopo, con le 35 organizzazioni che ne fanno parte, la rete ha prodotto un position paper contenente analisi e proposte che saranno presentate al Senato il 14 settembre.

Focus migranti

L’Istat, nell’ultimo bollettino annuale con le stime preliminari sulla popolazione in condizione di povertà assoluta e relativa, ha operato anche una elaborazione della platea di riferimento suddivisa per cittadinanza. Questa elaborazione mostra come, tra la popolazione migrante, l’incidenza della povertà sia decisamente maggiore rispetto alla popolazione con cittadinanza italiana.

La prima causa è da imputare a una legislazione che non sostiene adeguatamente i loro percorsi di inclusione in Italia e, in seconda battuta, le norme sulle misure di contrasto alla povertà, che per loro stessa natura dovrebbero essere universali, ma contribuiscono ad alimentare questo dato, avendo profili palesemente discriminatori. Nel passaggio dal Rdc all’Adi, tra i vari cambiamenti apportati alla misura che doveva essere di contrasto alla povertà, «sono stati modificati parzialmente i requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno richiesti per accedere alla misura di sostegno». Il legislatore, su questo fronte, ha apportato «un primo miglioramento con la riduzione del vincolo di residenza anagrafica da 10 a 5 anni e con la previsione del riconoscimento della misura anche ai titolari dello status di protezione internazionale». Due avanzamenti minimi, dettati dalla palese violazione delle norme comunitarie della precedente normativa: questa riduzione del vincolo di residenza non è, però, sufficiente a rispondere né alla necessità che uno strumento di contrasto alla povertà sostenga tutte le persone in povertà innanzitutto in ragione della loro condizione economica, né alla violazione delle disposizioni comunitarie.

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