«Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha mostrato che la violenza di genere avviene in tutti i contesti, non solo in quelli disagiati», dice la magistrata di Cassazione esperta nel contrasto alla violenza di genere. Gli strumenti normativi per contrastarla esistono, ma la magistratura non può essere l’unico attore ad affrontare un fenomeno così complesso: «Si contrasta nelle famiglie, nelle scuole e nelle università»
La violenza maschile contro le donne non fa distinzioni. È un fenomeno culturale radicato e trasversale, non dipende dalla classe o dalla provenienza. Riguarda tutte. Un anno fa, l’11 novembre 2023, è stata uccisa dal suo ex partner Giulia Cecchettin, studente 22enne di Ingegneria biomedica all’università di Padova, che dopo pochi giorni avrebbe dovuto laurearsi.
«Il femminicidio di Cecchettin ha mostrato che la violenza di genere avviene in tutti i contesti, non solo in quelli disagiati. Compresi quelli in cui viviamo quotidianamente», dice Paola Di Nicola Travaglini, magistrata di Cassazione esperta nel contrasto alla violenza di genere. Il femminicidio è l’apice di una violenza fatta di atti persecutori, maltrattamenti, stalking, violenza psicologica ed economica. Gli strumenti normativi per contrastarla esistono, ma la magistratura non può essere l’unico attore ad affrontare un fenomeno così complesso: «Si contrasta nelle famiglie, nelle scuole e nelle università», precisa la giudice.
Gli strumenti normativi introdotti negli ultimi dieci anni sono molti, come il “Codice rosso”, ma i femminicidi continuano a essere circa uno ogni tre giorni. Sono interventi sufficienti?
Il rafforzamento delle leggi italiane, iniziato dalla ratifica della convenzione di Istanbul fino all’ultima legge del 2023, ha reso il sistema normativo italiano di contrasto alla violenza contro le donne tra i più importanti a livello europeo e internazionale. Abbiamo tutti gli strumenti per contrastarla. Questi delitti hanno una priorità assoluta, come i delitti di criminalità organizzata: c’è l’obbligo di ascolto della persona offesa entro tre giorni; l’obbligatorietà del braccialetto elettronico; gruppi specializzati all'interno delle procure. Il fenomeno però continua a persistere perché l'applicazione è virtuosa se c’è formazione da parte della polizia e della magistratura. Da parte di chi non è formato, c’è invece una sostanziale disapplicazione. Manca una specifica conoscenza di queste norme, complicate e sparse in tutto l’ordinamento.
Le segnalazioni per atti persecutori e maltrattamenti sono state quasi 26mila in sei mesi nel 2024. E i braccialetti elettronici attivi sono alcune migliaia. Ci sono stati casi di femminicidio in cui denunciare non è bastato, perché per esempio il dispositivo non ha funzionato.
La legge 168 del 2023 ha reso obbligatorio il braccialetto elettronico per le misure cautelari cosiddette non custodiali. Questo dispositivo rafforza la tutela della vittima. Una cavigliera per l’uomo e per la donna un apparecchio che lancia l’allarme anche alle forze di polizia, quando l’uomo si avvicina a una certa distanza, stabilita in almeno 500 metri. L’efficacia dissuasiva di questo strumento è importantissima: rende più tranquilla la persona offesa, perché sa che viene allertata in caso di pericolo, e avverte le forze di polizia. Ma c’è un ulteriore passaggio: se l’autore viene trovato in violazione di questo avvicinamento, scatta l’arresto obbligatorio in flagranza e l’applicazione di misure più gravi fino al carcere. Con l’obbligatorietà, è chiaramente aumentata la richiesta del braccialetto elettronico creando problemi di reperibilità. In altri casi il funzionamento non è stato adeguato, ma i ministeri stanno cercando di superare i problemi legati alla tecnologia. Sono questioni che, però, non fanno venire meno la portata fondamentale.
Lei ha più volte detto che «l’istituzione non è neutra». Qual è il rischio se è un’istituzione non neutra a giudicare i casi di violenza?
Che esistano pregiudizi giudiziari è un dato giuridico, riconosciuto da tre fonti sovranazionali: parlano di pregiudizi e stereotipi sessisti che impediscono alle donne di accedere in condizione di parità alla giustizia.
Se un giudice ritiene che una donna che beve si mette nella condizione di essere violentata, perché esprime un consenso presunto, abbiamo di fronte un operatore che non riconosce la libertà femminile.
Sono stereotipi interiorizzati da millenni che fanno sì che la condotta violenta sia letta come reazione, e non come azione. Una lettura che non solo non applica le leggi, ma deforma i fatti con stereotipi sessisti, secondo i quali un uomo può decidere sulla vita di una donna, con l’effetto di rendere impunita la violenza.
Le denunce stanno aumentando. Nel primo semestre del 2024 le segnalazioni per maltrattamenti contro familiari e conviventi sono cresciute del 23 per cento. Cosa spiegano questi dati?
L’aumento delle denunce è un segnale importante. Dimostra innanzitutto che le donne e il contesto sociale riconoscono la violenza: il controllo del cellulare, la denigrazione, le forme di limitazione della libertà delle donne che prima erano normalizzate, sono finalmente canalizzate nei giusti binari. Significa poi che le donne iniziano ad avere fiducia nelle istituzioni.
Detto questo, una donna su tre – un numero al ribasso – è vittima di violenza in Italia, in Europa e nel mondo. A fronte di questi numeri, è chiaro che non può essere la magistratura ad affrontare tutto ciò. È un fenomeno criminale, con una radice culturale, che non si contrasta nelle aule di giustizia ma nelle famiglie, al lavoro, a scuola, partendo dagli uomini.
La magistratura deve fare la sua parte, ma sono ancora poche le denunce. Se una donna su tre subisce violenza, solo una su 10 denuncia. Nonostante i numeri siano cresciuti in maniera esponenziale, stiamo guardando ancora alla punta dell’iceberg.
Gli strumenti normativi ci consentono di contrastare questo fenomeno nel settore penale, ma prima ancora va affrontato nel civile: in sede di affidamento dei figli, di separazioni e divorzi. Perché le donne spesso non vogliono denunciare, ma solo interrompere la violenza.
È un’architettura potente a cui mancano due strumenti fondamentali. Una formazione obbligatoria e specifica di magistratura, forze di polizia, avvocatura, consulenti e assistenti sociali, per leggere e contrastare il più difficile fenomeno criminale e culturale, intriso di stereotipi e pregiudizi. E personale sufficiente nelle caserme e nelle aule giudiziarie. Il numero è rimasto invariato di fronte a nuove norme.
Non possiamo più fare riforme sulla violenza contro le donne a costo zero, e la questione dei braccialetti elettronici ne è la prova. Fare una riforma, imponendo il braccialetto elettronico, senza prevederne la relativa spesa, significa depotenziarla.
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