Per il ministro dell’Istruzione la lotta contro il patriarcato è «frutto di una visione ideologica». Le opposizioni. «Parole inaccettabili». Elena Cecchettin: «Giulia uccisa da un bianco per bene»
«Deve essere chiara a ogni nuovo venuto, a tutti coloro che vogliono vivere con noi, la portata della nostra Costituzione, che non ammette discriminazioni fondate sul sesso. Occorre non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale».
A dirlo il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara durante la presentazione alla Camera dei deputati della fondazione Giulia Cecchettin, la studentessa uccisa dall’ex partner Filippo Turetta l’11 novembre 2023, un ente che si dedicherà ad aiutare le famiglie, le donne a prevenire la violenza di genere e ad aiutare chi è già in situazioni di abuso.
Per Valditara, il femminicidio «oggi sembra più il frutto di una grave immaturità narcisista del maschio che non sa sopportare in no», mentre «una volta era frutto di una concezione proprietaria della donna». Il ministro ha definito la lotta contro il patriarcato una «visione ideologica», sostenendo che «i percorsi ideologici non mirano mai a risolvere i problemi, ma a affermare una personale visione del mondo».
Frasi con doppie negazioni un po’ contorte, il cui senso però è chiaro ed evidenzia una narrazione comune alla destra di governo, e non solo, che mira a spostare il problema a un mondo esterno, a qualcosa di lontano ed estraneo alla società e cultura in cui viviamo.
Alle parole di Valditara aveva però già risposto un anno fa, in una lettera al Corriere della Sera, Elena Cecchettin, la sorella di Giulia: «Il femminicidio è un omicidio di Stato. Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere», riconoscendo la natura strutturale della violenza maschile sulle donne perché il femminicida non è «una persona esterna alla società». Ma quelli che vengono definiti “mostri” «non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro».
La sua lettera ha rappresentato una svolta importante per la narrazione dei femminicidi e della violenza di genere. Ma alle istituzioni non è bastato. È quindi tornata a rispondere il 18 novembre sul suo profilo Instagram: «Se invece di fare propaganda alla presentazione della fondazione che porta il nome di una ragazza uccisa da un ragazzo bianco, italiano e “per bene”, si ascoltasse, non continuerebbero a morire centinaia di donne nel nostro paese ogni anno».
Radicato e trasversale
La violenza maschile contro le donne, il cui apice è appunto il femminicidio, è – come afferma Elena Cecchettin – un fenomeno culturale, radicato e trasversale, che non dipende dalla classe sociale o dalla provenienza di una persona. E nella maggior parte dei casi «l’assassino ha le chiavi di casa», gridano i movimenti femministi in piazza. Lo dicono i dati e lo raccontano le storie delle «120 donne» che sono state uccise «soltanto in Italia» da «quando è mancata Giulia. Migliaia e migliaia nel mondo», di fronte alle quali – ha detto Gino Cecchettin – «non possiamo permetterci di essere indifferenti o voltare lo sguardo altrove».
Da un recente rapporto di Action Aid e dell’Osservatorio di Pavia, “Oltre le parole”, emerge che più di un messaggio su dieci di esponenti di governo, parlamento o enti locali «è fuorviante»: ne è un esempio un post Facebook di Matteo Salvini «che esternalizza la violenza contro le donne», contrapponendo «la cultura occidentale, e le sue radici giudaico-cristiane, alla cultura islamica».
Così come i post dei politici, anche i giornali hanno per lungo tempo sovrarappresentato il femminicidio compiuto da un uomo di origine straniera, aveva raccontato a Domani Elisa Giomi, commissaria dell’Agcom, poi «nel tempo la copertura si è riallineata al dato fattuale».
«Parole inaccettabili»
Quelle di Valditara sono «parole inaccettabili», dicono le opposizioni. «Si tratta solo di razzismo e si chiama propaganda», afferma Chiara Braga, capogruppo del Partito democratico alla Camera, mentre Riccardo Magi di Più Europa parla di «una spudorata strumentalizzazione razzista» del ministro. Frasi «incredibili e gravissime», per la senatrice Pd Sandra Zampa.
«Accusare i migranti irregolari in relazione allo spaventoso numero di femminicidi in Italia copre di vergogna un esponente delle istituzioni smentito tra l’altro nelle sue insultanti parole dai dati raccolti dalla Commissione parlamentare femminicidi», ha aggiunto Zampa. Ciò che spiace, dicono in molti, è l’occasione importante come la presentazione della Fondazione Cecchettin, usata – conclude Braga – «per fare propaganda su queste e altre improbabili teorie».
La fondazione è stata creata da Gino Cecchettin, raccogliendo «i pezzi di due anni di dolore» e riuscendo a mettere insieme «una cosa enorme», racconta la figlia Elena su Instagram. «Cos’ha fatto invece il governo?», chiede la ragazza, «Perché devono essere sempre le famiglie delle vittime a raccogliere le forze e creare qualcosa di buono?».
La violenza di genere è frutto di un «fallimento collettivo» ha ricordato il padre, «non è solo una questione privata. Dobbiamo educare le nuove generazioni». Ma dell’educazione sessuo-affettiva strutturale nelle scuole e del progetto di Valditara “Educare alle relazioni”, dopo un anno, non c’è traccia.
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