L’ultima giornata della riunione dei ministri dell’Interno è stata dedicata ai flussi migratori. Nemmeno citato il Piano Mattei. Siglato un patto con la Francia per monitorare la frontiera
A 200 metri dal cartello che indica l’ingresso nel comune di Mirabella Eclano, provincia di Avellino, un furgoncino vela pubblicitario attira gli occhi dei visitatori. «Ministro Piantedosi grazie!» è la scritta enorme impressa su un cartellone. Un ringraziamento sentito, quello del sindaco Giancarlo Ruggiero, amico del capo del Viminale, originario di queste zone, visto che negli ultimi dieci giorni il piccolo centro abitato ha visto operai al lavoro per asfaltare strade e rinnovare la segnaletica. «Sono contento, ci sarebbe voluto molto più tempo per fare tutto questo», dice un ragazzo.
Il miracolo è frutto della riunione del G7 dei ministri dell’Interno che si è svolto dal 2 al 4 ottobre. Si è discusso di terrorismo, Medio Oriente, guerra in Ucraina, cybersicurezza, dei rischi dell’intelligenza artificiale, della diffusione delle droghe sintetiche, nonché della gestione dei flussi migratori provenienti dall’Africa.
E proprio il tema migratorio è stato al centro dell’ultima giornata di lavori. Nella conferenza stampa finale il ministro Piantedosi ha parlato di un approccio «concreto e operativo» tra i paesi membri e quelli ospitanti (Libia, Tunisia e Algeria), e i rappresentanti di Unhcr, Oim, e Commissione europea arrivati nel piccolo paese.
Assenti i funzionari di Frontex, l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere impiegata nella sorveglianza e nel contenimento dei flussi. Così come non si trova traccia, nelle dichiarazioni pubbliche del ministro ma anche nel comunicato finale, del “Piano Mattei”, cavallo di battaglia della premier Giorgia Meloni, slogan perfetto (e vuoto) da usare ogni volta che si discute di come gestire le partenze dal continente africano.
Il piano di azione
Le novità emerse dagli incontri sono state la firma di un accordo con la Francia per implementare una task force di intelligence per monitorare gli attraversamenti lungo il confine, dimostrando subito un feeling con il nuovo ministro dell’Interno francese, Bruno Retailleau, dopo le divergenze con il suo predecessore, e l’adozione di un “action plan” con i paesi nordafricani.
Un piano diviso in cinque pilastri e incentrato sul rafforzamento della cooperazione investigativa con le forze di polizia locali, accusate di frequente di violenze contro i migranti, soprattutto quelle di Tunisia e Libia. Ci saranno quindi «azioni congiunte, attraverso la creazione di una rete di unità specializzate in crimini e indagini nel campo del traffico di migranti e della tratta di persone», ha detto il ministro.
Questo presuppone un addestramento delle forze di polizia, oltre alla dotazione di nuovi mezzi e strumenti diretti verso paesi considerati sicuri per l’Italia ma non per chi ci vive. Oggi 62 organizzazioni hanno firmato un appello congiunto in cui «esortano l’Ue e gli stati membri ad agire subito per interrompere la cooperazione sul controllo della migrazione con le autorità tunisine, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani».
Appello che rimarrà inascoltato dato che il ministro, rispondendo alla stampa, ha detto: «Ognuno di noi deve pazientare prima di poter attribuire una patente di democraticità ad altri paesi. Oggi questi paesi condividevano il tavolo con l’Unhcr e l’Oim, ovvero le due organizzazioni a cui è affidato il presidio del rispetto dei diritti umani. Inoltre, sono paesi che stanno facendo grandissimi passi avanti per applicare politiche di rigore nel contrasto al traffico di esseri umani».
Ma la realtà che ci restituiscono le inchieste giornalistiche è ben diversa. Tornando al piano, questo prevede anche «la condivisione di buone pratiche»; verranno creati dei centri multifunzionali nei paesi di origine con l’obiettivo di offrire «assistenza ai migranti» e «campagne di sensibilizzazione».
Cpr in Albania
I ministri non hanno discusso solo di prevenzione, ma anche di procedure accelerate di rimpatrio come quelle previste dal governo italiano in Albania attraverso i costosissimi centri per migranti in procinto di essere aperti. I Cpr albanesi sono considerati da Meloni e Piantedosi un modello esemplare, nonostante le criticità sollevate dalle organizzazioni umanitarie.
Un modello che piace al governo francese, ma anche a quello britannico del laburista Keir Starmer, che sta cercando un’alternativa all’oramai bocciato piano Ruanda ideato da Rishi Sunak e poi fallito. Ma anche il piano albanese è pieno di incognite. A partire dallo screening in mare per selezionare chi viene da paesi sicuri al garantire una corretta informazione dei diritti dei migranti che richiedono la protezione internazionale visto le procedure accelerate.
Monitoraggio dei fondi
Contrastare i flussi irregolari vuol dire investire soldi nei paesi di origine. Di recente la Corte dei conti europea ha sollevato dubbi su come vengono utilizzati i fondi di Bruxelles diretti a paesi come la Libia, chiamando in causa l’Italia in quanto inadempiente nel monitoraggio di alcuni progetti.
Interpellato da Domani sull’esigenza di un sistema di monitoraggio dei fondi, Piantedosi ha fatto capire che non è stato oggetto di discussione del G7. E sul caso specifico ha contraddetto la Corte dei Conti Ue: «Laddove pure si volessero condividere posizioni di sospetto nei confronti di questi paesi, che io non condivido, noi impieghiamo direttamente queste somme, quindi non ravvisiamo questi problemi». Ma l’Italia, come altri stati, non sempre invia i fondi ai governi con cui stringe accordi, spesso questi vengono veicolati attraverso organizzazioni terze, come l’Unops o altri partner.
Oltre i migranti
Nella tre giorni del G7 si è discusso anche di cybersicurezza, terrorismo e contrasto della diffusione delle droghe sintetiche come il fentanyl, definito da Piantedosi come un «flagello». È stato ribadito il sostegno all’Ucraina e la volontà di arrivare a una soluzione diplomatica in Medio Oriente. Ma c’è stato spazio anche i giornalisti locali che hanno chiesto informazioni sul futuro dell’entroterra campano una volta spenti i riflettori.
«Non so che cosa rimarrà ma intanto qualcosa è stato fatto», ha detto il capo del Viminale. A fine giornata il proprietario di un bar lontano da Villa Orsini, dove si è svolta la riunione, esprime il suo rammarico: «Qui non ho visto nessuno, solo forze dell’ordine tutti i giorni. Pensavamo che avremmo avuto un ritorno economico, invece niente. Sono tutti alla villa».
© Riproduzione riservata