Un piccolo gesto, un grosso impatto. Il 14 giugno è la Giornata mondiale del donatore di sangue e, come ogni anno, si moltiplicano in tutta in Italia le iniziative di sensibilizzazione sul tema

«Nel nostro Paese circa 1.800 persone necessitano ogni giorno di trasfusioni di sangue per superare gravi emorragie provocate da eventi traumatici», spiega Gianpietro Briola, presidente nazionale di Associazione volontari italiani del sangue (Avis), che da sola copre circa il 70 per cento delle donazioni totali in Italia. «Donare il sangue è importante perché risponde all’esigenza sociale di tutela del diritto alla salute. Si tratta di un gesto volontario, gratuito, solidale e salvavita per molte persone», sottolinea la Fidas, l’altra grande associazione di donatori.

Nel nostro paese le donazioni sono in aumento, anche per la fascia 18-45 anni (7mila in più nel 2023), ma i giovani non costituiscono ancora una fetta così rassicurante da garantire una completa autosufficienza nel lungo periodo. Avis, Fidas e le altre associazioni organizzano per questo campagne di comunicazione per spiegare, oltre agli effetti benefici, anche i primi passi da fare se si vuole iniziare a donare il sangue: un gesto che solo in Italia salva la vita a circa 630mila persone ogni anno.

A che età si può donare

Per iniziare a donare il sangue bisogna rispettare tre semplici requisiti. «Bisogna avere un’età compresa tra i 18 e i 60 anni, mentre si può continuare a donare fino al compimento del settantesimo anno di età. Bisogna poi pesare almeno 50 chili e godere di buona salute». Sono migliaia le sedi dove ci si può recare in Italia, solo Avis ne conta 3.300.

«Durante il primo appuntamento verrà dapprima somministrato un questionario che punta ad approfondire lo stato di salute e lo stile di vita condotto dagli aspiranti donatori – spiega Briola –. Si passerà, quindi, a un colloquio con il medico e allo svolgimenti di alcuni accertamenti clinici. Una volta constatata l’idoneità al dono, si verrà nuovamente contattati per fissare la prima donazione».

Chi non può donare

C’è ancora molta confusione su alcuni comportamenti erroneamente ritenuti incompatibili con il dono, considerati un ostacolo dall’11 per cento degli italiani, secondo un’indagine commissionata alla Doxa lo scorso anno dal Centro nazionale sangue. Tra questi, i principali sono la presenza di tatuaggi e piercing, oppure i rapporti omosessuali.

Chi ha tatuaggi e piercing può donare, quindi? Sì. Come si legge sul sito del ministero della Salute, l’unica condizione è far passare quattro mesi dopo averli fatti. E i rapporti omosessuali? Il margine di tempo è lo stesso, ma l’omosessualità non c’entra niente perché la condizione per l’esclusione è semplicemente l’aver avuto rapporti sessuali a rischio nei precedenti quattro mesi. Ma si devono aspettare anche sei mesi dopo il parto o dopo l’interruzione di gravidanza. 

In più, chi sceglie di donare sangue ha diritto a un giorno di permesso dal lavoro conservando la normale retribuzione. Non bisogna essere necessariamente a digiuno, ma anzi è consigliata una colazione leggera. La donazione, invece, è preclusa a chi assume sostanze stupefacenti o fa uso cronico di alcool, oltre che per altri casi menzionati sui siti di Avis, Fidas, ministero della Salute, ecc. 

Quante volte si può donare

C’è anche un limite massimo di volte in cui si può donare. È previsto che fra una donazione e l’altra debbano trascorrere almeno 90 giorni. Quindi, in un anno, si possono fare al massimo quattro donazioni.

Discorso diverso per le donne in età fertile, che possono donare non più di due volte l’anno con un intervallo di minimo 3 mesi. Il motivo scientifico sta nella ricostituzione delle scorte di ferro.

Perché è importante donare

Le trasfusioni di sangue sono indispensabili nel trattamento di moltissime patologie e non esiste finora un’alternativa che possa sostituirlo. Donare il plasma – la parte liquida del sangue – serve anche a produrre medicinali usati per diverse terapie salvavita. Anche egoisticamente, donare il sangue è un modo per tenere sotto controllo la propria salute, perché al momento della donazione si viene sottoposti gratuitamente a controlli.

Le 1.800 persone che ogni giorno necessitano di trasfusione di sangue in Italia – spiega il presidente di Avis – ne hanno bisogno «per superare gravi emorragie provocate da eventi traumatici, negli interventi come i trapianti d’organo, nella cura di patologie tumorali come le leucemie, nelle anemie gravi conseguenti a chemioterapie oppure croniche come la talassemia, o ancora nei neonati con malattia emolitica». I medicinali derivati dal plasma servono poi nella cura di un sacco di patologie, come l’emofilia, le malattie epatiche, le immunodeficienze primitive e acquisite, l’epatite B, eccetera.

Cosa manca ancora in Italia

«Il nostro paese è autosufficiente sul fronte dei globuli rossi, ma è ancora costretto a importare dall’estero circa il 25 per cento delle scorte di farmaci plasmaderivati», sottolinea Briola di Avis. I numeri li dà Fidas: «Nel 2023 sono stati raccolti quasi 900mila chili di plasma da circa 1,5 milioni di donatori: una raccolta record, che tuttavia ancora non basta per raggiungere quell’autosufficienza che permette di rispondere al fabbisogno di salvavita plasmaderivati come le immunoglobuline». 

Un’altra sfida – spiega il presidente di Avis – «è il coinvolgimento delle nuove generazioni». Perché se è vero che nel 2023 è tornato a crescere dopo dieci anni il numero dei donatori tra i 18 e i 45 anni (7mila in più rispetto al 2022), questo risultato si inserisce in una tendenza di invecchiamento della popolazione dei donatori. Questa fascia ha rappresentato lo scorso anno il 50,7 per cento del totale, mentre solo cinque anni prima, nel 2018, questa percentuale era del 55. 

In ogni caso, i numeri dello scorso anno possono fare ben sperare. Il 2023 ha segnato un aumento di 20mila donatori rispetto al 2022, e anche le donazioni hanno registrato un segno positivo (+36mila): oltre 3 milioni in un anno. 

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