Per una volta, si può lasciare da parte la ricerca spasmodica e ispirata alla sociologia spicciola sul perché Sinner venga amato e seguito anche da chi sa a malapena come si gioca a tennis. E ci si può lasciare andare al pensiero che si tifa Sinner perché migliora sempre
C’è chi sostiene che l’Italia è Sinner-dipendente perché lui fatica al posto nostro. E vince dando compimenti ai sogni di vittoria anche di chi non ha messo piede su un campo da tennis. C’è chi lo celebra ormai come un santo laico, chi non perde occasione per lodarne la gentilezza dei gesti, la struttura del pensiero, l’uso accurato delle parole. La realtà è che Jannik Sinner dalla Val Pusteria è oggi lo sportivo più potente e vincente dello sport italiano e si fatica a trovare qualcuno il cui talento sia più nitido e appassionante in tutto il globo. Sua Potenza ha annichilito (6-4 6-4) anche il miglior Taylor Fritz mai visto sul pianeta, ha conquistato la prima edizione delle Finals della sua vita, ottavo titolo dall’inizio dell’anno, senza nemmeno perdere un set: l’ultimo a riuscirci fu Ivan Lendl nel 1986 nell’edizione di gennaio del Master. Quell’anno di tornei per i maestri se ne giocarono due: uno appunto a gennaio (era riferito all’anno precedente) e uno undici mesi dopo. Ivan superò in sequenza Tomas Smid, Tim Mayotte, Anders Gomez e Boris Becker. Quello stesso Becker che ha consegnato nelle mani di Sinner qualche giorno fa la coppa che spetta a chi chiude l’anno come giocatore numero 1 della classifica Atp.
Il breve riferimento storico serve a capire la portata di ciò che Sinner sta realizzando e che nel trionfo torinese (città dove le Finals resteranno di casa anche almeno per i prossimi due anni: poi potrebbe esserci la staffetta con Milano) ha trovato una consacrazione tale da cancellare forse per sempre l’interrogativo-tormentone che più volte è affiorato nel corso dell’anno: più forte lui o Alcaraz?
Il primo
Nessun italiano aveva mai vinto un Masters, nessun tennista azzurro era mai andato lontanamente vicino a mettere in cassa oltre dieci milioni di dollari di premi nel giro di un mesetto: sei nella super esibizione in Arabia Saudita, quattro e mezzo alle Finals. Gli altri due a vincere nello stesso anno i due Slam sul cemento e le Finals rispondono ai nomi di Roger Federer e Novak Djokovic.
Allora, per una volta, si può lasciare da parte la ricerca spasmodica e ispirata alla sociologia spicciola sul perché Sinner venga amato e seguito anche da chi sa a malapena come si gioca a tennis. E ci si può lasciare andare al pensiero che si tifa Sinner perché migliora sempre, perché vince le partite soprattutto quando rischia, perché sorride in un momento in cui non molti hanno voglia di ridere e magari non ne hanno nemmeno motivo. Se proprio si vuole si tifa Sinner non perché fatica al posto nostro ma perché restiamo tutti in fondo un po’ neorealisti o forse lo siamo diventati di nuovo. Guardiamo al mondo talvolta con un malcelato senso di inferiorità e Sinner ci trasmette invece fiducia e voglia di guardare al futuro con un po’ di orgoglio e magari (parola grossa) di speranza.
Un utente di quel social media cui di questi tempi è meglio non fare il nome perché di visibilità se ne dà abbastanza da solo, ha scritto mentre Jannik batteva per la terza volta di fila Taylor Fritz: «La cosa più divertente di questo incontro (Sinner-Fritz) è che nessuno dei due è tedesco» ha scherzato sui nomi. Ecco, appunto: questo atleta straordinario è italiano e parla un ottimo inglese, è italiano ma sa essere misurato, forse fin troppo, anche quando è felice. Si può obiettare sulla sua residenza monegasca e si può, anzi si deve, trattenere il fiato in attesa di capire cosa deciderà il Cas di Losanna in merito al caso doping. Ma per una volta vale la pena di gioire e basta. Se lo merita lui e in fondo ce le meritiamo pure noi.
Lo snodo della stagione
E adesso tutti concentrati sul più strano double dell’anno: dopo la Finals Atp ci si sposta a Malaga per quella di Coppa Davis. Che diventano, a questo punto, uno snodo fondamentale della stagione. E almeno in questo Gerard Piquè e l’agenzia Kosmos di cui lui fa parte, quando riformarono in accordo con l’Itf il format della competizione a squadre, hanno avuto ragione. I protagonisti di Torino si ritrovano a contendersi il trofeo più celebrato in rappresentanza dei propri paesi: ma il loro essere presente a Malaga diventa l’occasione per una sorta di super-rivincita di Torino e pure l’occasione per ribadire una leadership che va ben oltre la mera classifica a punti. Sinner, Alcaraz, o De Minaur (Zverev no perché ha deciso andare in vacanza) a questo punto (soprattutto l’italiano) cercano in Davis una corona che solo la competizione creata dall’omonimo Dwight oltre un secolo fa può assegnare. E questa non sarà un’edizione come le altre: perché sarà anche l’ultima occasione in cui uno dei tre re dei re che il tennis ha proposto negli ultimi 25 anni, Rafael Nadal, calcherà un campo da tennis per competere ad alto livello. Una last dance che ha tutto il sapore della cerimonia di successione: sarà come se Rafa lasciasse incoronando chi avrà il non agevole compito di reggere la sorti del tennis negli anni a venire. E il nome è noto, come avrebbe potuto affermare Holiday Hall dal titolo del suo pregevolissimo romanzo più famoso.
Una garanzia
L’Italia esordirà giovedì contro l’Argentina che non sarà un avversario facile considerando che al chiuso la potenza al servizio di Etcheverry può rivelarsi un elemento da cui guardarsi. Il doppio Molteni-Maximo Gonzalez è roba magari d’antan ma in Davis l’usato sicuro è un bene rifugio. E proprio il tema del doppio rappresenta uno dei maggiori punti interrogativi che accompagneranno la squadra di Volandri nello suo cammino andaluso. Un punto interrogativo che riguarda soprattutto quel nome noto citato prima.
Un doppio di valore ce l’abbiamo ed è quello composto da Simone Bolelli e Andrea Vavassori. A Torino le cose non sono andate benissimo dato che i nostri hanno perso due incontri di cui uno al super tiebreak suscitando qualche timore sulla loro tenuta psicologica quando la posta sale. Anche nel corso dell’anno qualche timore del genere era già circolato: ad esempio in primavera quando hanno perso la semifinale di Roma e la finale del Roland Garros contro Arevalo e Pavic, la coppia regina al mondo. Oppure quando a Shanghai, poche settimane fa sono stati sconfitti proprio dagli argentini Molteni e Gonzalez. Ma se è vero che una coppia di doppio è un continuo work in progress che attinge esperienza soprattutto dalle sconfitte è anche vero che se si ha in squadra il giocatore più forte del pianeta come si può non volerne approfittare in qualunque tipo possibile di format di gara? L’anno scorso Sinner in doppio trascinò Lorenzo Sonego (che quest’anno non farà parte del gruppo: ci sono invece Musetti e Berrettini) a due partite di doppio eccezionali contro olandesi e serbi: e il Sinner di questi giorni è più forte e più convinto di quello di allora. È garanzia di tenuta, soprattutto psicologica. In più: che succederà se si arrivasse ad una possibile finale contro la Spagna e se David Ferrer decidesse di schierare, in un ipotetico doppio, Alcaraz, Nadal oppure tutti e due assieme? La domanda magari antipatica ma reale è: Bolelli e Vavassori avranno la forza mentale per reggere l’urto contro questa ondata di storia? O piuttosto meglio affidarsi a Sua Potenza Jannik e a un socio a sua scelta? Giocare contro Nadal nell’ultimo match della sua vita agonistica non sarebbe una partita come le altre. Intanto bisogna arrivarci, però. E l’Italia ha Jannik Sinner.
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