Il percorso che attraversa Ungheria, Croazia, Slovenia fino all’Italia è diventato il simbolo della crudeltà europea. Ma quello che pochi mesi fa era un cammino sbarrato con la guerra ora sembra un’autostrada semi aperta
Dopo anni di chiusura semi totale e gestione dei flussi migratori appaltata dall’Unione europea alle organizzazione di trafficanti, la rotta dei Balcani è aperta: non ufficialmente, ma chi vuole passa. Quello che fino a pochi mesi fa era un cammino sbarrato dove le varie milizie locali non esitavano a bloccare con violenza selvaggia tutti coloro che non avevano il portafoglio gonfio, oggi appare come un’autostrada semi aperta. Questo nel tempo del trionfo dell’onda bruna che da est si allarga verso l’Italia.
I docks di Trieste vicino alla stazione traboccano di giovani uomini e la piazza antistante si riempie ogni notte di nuovi arrivi che scendono dai sentieri che collegano Beka in Slovenia a Dolina in Italia. Sono quasi sempre afghani, iraniani, pakistani, tutti maschi giovanissimi, che dopo qualche giorno si possono incontrare in marcia lungo la rotta alpina che collega Claviere, ultimo paesino della val Susa, Piemonte, a Briançon, primo comune francese dove è possibile prendere un treno che porta a Parigi e poi, meta finale, Berlino. I confini interni dell’Unione europea, nonostante il sempre imponente apparato repressivo, subiscono l’onda che arriva dalla apertura dei confini esterni: Turchia – Grecia, Bosnia – Croazia, Serbia – Ungheria. Questi tre negli ultimi anni hanno funzionato da trincee fortificate dove non passava nulla.
La piena
«Un torrente in piena»: con queste parole Silvia Maraone delle Acli di Milano, operatrice presso il campo di Bihac (Bosnia Erzegovina) descrive la rotta dei Balcani nel settembre 2023. Lei, che vive e lavora a un passo dalla Croazia nota per controlli spietati, racconta di passaggi come non si vedevano da anni. Il cuore di questo movimento di massa in marcia verso l’Europa sarebbe al confine tra Serbia e Ungheria, nella zona pesantemente militarizzata che corre tra Sombor, Subotica e Maidan, cittadine serbe che vivono placidamente a due passi dalle gigantesche barriere difensive alzate dal governo nazionalista di Viktor Orbán. Oltre le quali vivono e governano capobanda della lotta alla migrazione, come László Toroczai, un sindaco serbo ungherese - uno dei tanti che sguazzano nell’onda nera dei Balcani - che ha fatto della lotta ai migranti una guerra. Lui, che è la voce dell’Ungheria più tragica e famosa, lo dice chiaramente nei video che posta su YouTube: «Voi che arrivate dalla Serbia e volete andare a Berlino, non passate dalle mie parti». Seguono immagini di militari, pensionati di pattuglia, cani sguinzagliati, pick up che pattugliano il confine.
Questo confine terribile oggi sarebbe aperto e le guardie che pattugliano armi in pugno sul lato ungherese prodigiosamente distratte. Al punto che le quotazioni della piazza di Belgrado sulle varie rotte – gli agent si trovano en plen air di fianco alla stazione oppure su Telegram dove c’è ampia offerta pubblicitaria – quotano la Belgrado Berlino mille euro, contro i cinquemila di fine 2021. L’Italia non fa prezzo per eccesso di ribasso.
Spinta incontrollabile
Nelle settimane passate, di fronte al massiccio flusso su Trieste e Lampedusa, rotta orientale e centrale, il nostro governo ha vagamente adombrato complotti contro l’Italia volti a tentativi di destabilizzazione e altre amenità. Senza alcun dubbio il migrante è un’arma biopolitica che gettata in pasto a opinioni pubbliche aizzate genera tensione sociale. Ma il confine tra Slovenia e Austria racconta altro.
Secondo l’assistente legale Petra Leschanz di Border Monitor Crossing e Push back Alarm Austria «.. è massiccio il movimento alla frontiera austro-ungherese. La gente che arriva tramite l’Ungheria non è diretta solo in Germania ma in tanti posti diversi. Le persone che arrivano in Austria tramite la rotta Slovena al confronto sono molto ma molto di meno. Nel 2022 più di 80 per cento delle persone sono arrivate in Austria tramite l’Ungheria». Quindi il flusso aperto è rivolto a nord e passa attraverso l’Austria «anche attraverso il Brennero».
Perfino l’inespugnabile trincea croata ha “subito” un aumento del 170 per cento dei passaggi – nessuno vuole fermarsi in Croazia – e vi sono testimonianze secondo cui le fermate degli autobus lungo la statale D1 che porta a Zagabria sono regolarmente frequentate da migranti in attesa. I giornali locali sostengono angosciati che un “centro di registrazione” potrebbe essere aperto nei pressi della cittadina di Krnjak, appena oltre il confine bosniaco croato.
Davor Božinović è ministro degli interni e vice primo ministro nel governo croato dal 2017, il 9 settembre ha emesso un comunicato stampa che andrebbe bene per un fronte di guerra: «Seicento immigrati illegali sono stati fermati preventivamente dall’entrare in Croazia. Sono numeri senza precedenti». Ovviamente si tratta di respingimenti illegali verso Bosnia e Serbia che un paese membro Ue rivendica con orgoglio. Ma il messaggio del ministro croato non è rivolto solo al nazionalismo croato, bensì proprio all’Unione europea che deve prepararsi ad aprire le casse.
Come sostiene Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà, «siamo di fronte a una spinta incontenibile». Probabilmente le porte si sono aperte nelle terre di nessuno afgane, pakistane e non solo. Sempre Silvia Maraone a Bihac ha recentemente raccolto la testimonianza di una famiglia iraniana che ha impiegato una settimana per raggiungere la Bosnia: negli anni passati erano necessari viaggi lunghi anni e migliaia di dollari da versare ai vari criminali che gestiscono le rotte che attraversano i Balcani. Liza D., giunta a Stoccolma dopo anni di blocco di Turchia è una siriana di Aleppo – come noto il paese di Erdogan è profumatamente pagato per bloccare tutti coloro che vorrebbero raggiungere l’Europa, siriani compresi – la cui casa è stata ridotta in macerie durante la guerra civile allargata alla Russia e non solo.
«Grazie Putin»
Nel 2020 il suo tentativo via mare verso la Grecia si risolse con un abbordaggio di guardie nero vestite, volto coperto da mefisto, che armi in pugno salirono sulla barca, smontarono il motore e lo gettarono in mare. E infine se ne andarono: senza dire una parola. «Putin mi ha distrutto la casa ma mi ha anche fatto arrivare in Europa»: con questa battuta commenta Liza la sconcertante apertura della rotta balcanica che le ha permesso di fuggire da Istanbul e raggiungere in un mese la sua meta.
Cosa sta succedendo lungo la rotta dei Balcani? I migranti sono diventati arma nelle mani di chi vuole destabilizzare l’Europa? Nell’ottobre del 2021 sulla piazza di Belgrado per la prima volta fu quotata la rotta che andava verso Minsk, Bielorussia. Costava molto meno della Belgrado-Berlino, o Parigi, e portava in Polonia. Seguì un autunno terribile fatto di pesante repressione polacca al confine, con migliaia di esseri umani fermati sul lato bielorusso nelle foreste, al gelo. Poi è arrivata l’invasione dell’Ucraina e ora, dopo alterne vicende, la rotta dei Balcani che corre lungo l’asse nero dell’Europa si è aperta.
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