- A novembre 2021 mancavano all’appello circa 4.200 medici di pronto soccorso, da allora circa cento al mese sono andati in pensione fuggendo da una professione sempre più sotto stress
- Se gli anziani scappano, i giovani laureati in Medicina non si avvicinano a questa specializzazione. L’anno scorso su 1.100 borse di studio messe a disposizione dal ministero, circa la metà non sono state assegnate
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Il sindacato Anaao-Assomed ha annunciato lo stato di agitazione dei medici ospedalieri e una stagione di mobilitazione che potrebbe portare anche a uno sciopero in autunno
Stavolta a chiedere aiuto sono i medici dei pronto soccorso italiani. All'appello ne mancano circa 5 mila e chi resta è costretto a turni massacranti, per coprire i buchi. Così i pronto soccorso italiani sono stremati da un inarrestabile incremento degli accessi. Gli addetti ai lavori la definiscono la peggiore estate da quando esiste l’Emergenza urgenza, e secondo il presidente della Società Italia Medicina emergenza urgenza (Simeu), Fabio De Iaco, «in trent'anni di carriera, questo è il momento più difficile. Più della pandemia quando eravamo sfiniti, ma siamo andati avanti come dei rulli perché c'era un motivo per farlo e avevamo un ruolo».
Ma adesso «quando ci troviamo a gestire decine di pazienti per quattro - cinque giorni in attesa di un posto letto, quello non è più il nostro lavoro. Noi dovremmo fare l'urgenza. Nei nostri Ps ci sono reparti di medicina occulti. Abbiamo dei vecchietti in barella, fermi per giorni. In reparto quelle persone andrebbero fatte alzare e mobilizzate tutti i giorni, ma da noi non c'è lo spazio per farli camminare».
Un lavoro senza soste
De Iaco risponde al telefono a pomeriggio inoltrato, è arrivato a lavoro alle 7:30 e non sa a che ora staccherà questa sera. Nel pronto soccorso che gestisce in Piemonte, una regione del nord, mancano 12 medici su una pianta organica di 24.
Si lavora con la metà della forza lavoro, carichi di stanchezza, con il rischio crescente di compiere errori, ma precisa che altrove non va meglio e che ci sono ospedali dove c'è solo il primario, il resto è personale reclutato dalle cooperative, dove un medico riesce a portare a casa mediamente 700 euro a turno, anche in assenza di specializzazione.
Contro queste difficoltà che si ripetono in tutte le regioni italiane, il sindacato dei medici Anaao Assomed, rappresentativo dei medici ospedalieri del servizio pubblico ha lanciato per settembre una stagione di mobilitazione e scioperi. «Il 76 per cento dei medici lavora in burnout. Medici e dirigenti sanitari non fanno ferie», ha spiegato in conferenza stampa il segretario Pierino Di Silverio, lanciando l’hashtag #Primadivotarepensaallasalute per sollecitare i partiti a mettere tra i punti dell’agenda elettorale una serie di interventi a sostegno del servizio sanitario nazionale.
La situazione che stanno vivendo i pronto soccorso è la conseguenza della programmazione economica sbagliata che, fino al periodo pre-pandemia finanziava appena 80 borse di specializzazione per la medicina d'urgenza.
Ma anche oggi che le borse a disposizione sono 1.100, la situazione non è cambiata: nell’ultimo anno seicento non sono state assegnate. Così, i più anziani scelgono la pensione per uscire da questo girone infernale, e i giovani disertano le scuole di specializzazione.
Secondo Simeu bisogna restituire dignità a questa professione attraverso un riconoscimento economico, per una posizione in prima linea, che non permette la libera professione e che lavorando in emergenza è più soggetta agli errori medici, alle denunce, alle aggressioni e a alla quale per paradosso non spetta l'indennità per le malattie infettive.
Gli accessi in pronto soccorso
Si stima che rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso gli accessi al pronto soccorso possano essere mediamente aumentati del 20 per cento, a fronte di un numero di medici che si è ridotto. «Sono dati medi, che provengono da una rilevazione a campione sul territorio nazionale. In realtà alcuni colleghi riferiscono di situazioni anche peggiori», informa Beniamino Susi, vicepresidente nazionale Simeu e responsabile del rapporto con le regioni.
«Nel Lazio, nella giornata del 22 luglio scorso risultava preso in carico un cittadino ogni 1.325 abitanti. Sono numeri impressionanti, da maxi emergenza». Al San Camillo, nella Capitale, da tempo si parla di un ampliamento del pronto soccorso di circa mille metri quadrati, ma senza un numero maggiore di posti letto nei reparti si rischia di peggiorare l’imbuto di pazienti in attesa di ricovero.
«Tutti i giorni chi ci lavora si trova a prestare assistenza in un ambiente che a volte sfiora l’immagine di un ospedale da campo, con più di 100-120 accessi a quasi tutte le ore del giorno, con 12 Infermieri, pochi operatori socio sanitari e pochi medici» racconta Stefano Barone, segretario provinciale del Sindacato degli infermieri Nursind. «Il problema qui è aver creato un pronto soccorso che stima una entrata giornaliera di 70-80 persone, ma se ne trova praticamente il doppio a tutte le ore del giorno». Insomma inutile pensare di risolvere i problemi di un pronto soccorso senza implementare personale e posti nei reparti. Si farebbe solo peggio.
Non si può chiudere
Solitamente quando manca il personale si chiude un reparto, sottolinea Simeu, cosa che non è mai avvenuta con le prime emergenze. E allora come si risponde a questa carenza? «Con la fantasia», dice De Iaco: turni più lunghi per medici e infermieri, cooperative, neolaureati ingaggiati dagli ospedali e «una serie di soluzioni posticce». Ma non basta perché, aggiunge, «la crisi di governo potrebbe essere la mazzata finale. Pur nei ritardi, la speranza era che le interlocuzioni in corso con le istituzioni portassero entro questa estate ad alcuni dei provvedimenti che chiediamo da tempo e per i quali proprio nell’ultimo periodo avevamo ricevuto segnali positivi. I tempi per raggiungere i provvedimenti necessari alla sopravvivenza del servizio si dilatano in maniera insostenibile: in questa maniera non resisteremo».
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