L’attivista curdo-iraniana ha ricevuto la cittadinanza onoraria del comune di Riace guidato da Mimmo Lucano. Ha consegnato alla deputata del Pd una lettera con «quattro richieste urgenti» per chiedere diritti e garanzie per i rifugiati in Italia
«Il percorso verso la libertà è per una donna un cammino pieno di pericoli. Le donne in fuga sono particolarmente vulnerabili. Siamo esposte ad abusi fisici, molestie sessuali e umiliazioni culturali senza aver diritto ad alcuna difesa». Scrive così in una lettera indirizzata a Laura Boldrini, deputata del Partito democratico, Maysoon Majidi, attivista curdo-iraniana che è stata detenuta nelle carceri italiane per dieci mesi con l’accusa di aver aiutato il capitano della barca che dalla Turchia ha portato 77 migranti in Italia. Il processo è ancora in corso ma i giudici di Crotone hanno disposto la sua scarcerazione perché non ci sono esigenze cautelari.
Majidi, da quando è uscita dal carcere, parte dalla sua storia per chiedere garanzie e diritti per chi arriva in Italia e fa richiesta di asilo. Ha letto il testo scritto in italiano, una lingua imparata durante i 300 giorni di carcere, dopo il conferimento da parte di Boldrini della cittadinanza onoraria del comune di Riace guidato da Mimmo Lucano.
«Maysoon ha fatto richieste molto specifiche al governo attraverso di me. Ha colto questa occasione per mandare un messaggio che non riguarda solo lei ma chi si trova nelle sue condizioni», racconta Boldrini a Domani. Per Majidi, continua la deputata, colpire il cosiddetto scafista è «ipocrita e ingiusto». Chi viene definito “scafista” è in realtà una persona migrante, costretta a guidare per salvare ricorda Boldrini, «mentre i veri trafficanti sono noti a tutti ma nessuno li tocca e non si fa nulla per arrestarli».
La ragazza di 28 anni racconta nella lettera di sé e della sua fuga: «Una donna che ha dovuto lasciare tutto – la sua casa, la sua cultura, la sua sicurezza – con la speranza di poter vivere un giorno in pace e dignità. Perché persone come me fuggono dal proprio Paese? La fuga non è una decisione presa alla leggera; è un passo disperato, quando il proprio paese nega il diritto di vivere e non lascia altra scelta».
Majidi è attivista per i diritti umani e per i diritti delle donne, proviene dal Kurdistan iraniano dove la vita quotidiana era segnata da «oppressione, violenza e da un costante senso di minaccia». Un regime che esercita una repressione sanguinaria nei confronti dei dissidenti e, in particolar modo, delle donne: «Siamo solo oggetti, destinate al silenzio e alla sottomissione. I nostri diritti sono limitati, la nostra volontà spezzata», scrive nella lettera.
Le visite in carcere
«Ho incontrato Maysoon dopo il suo arresto, a febbraio, su richiesta del movimento Donna vita e libertà», racconta Boldrini, che l’ha visitata sia nel penitenziario di Castrovillari e poi di Reggio Calabria. Parla di «una persona trasformata, che aveva perso molto peso ed era quasi irriconoscibile». Oggi pesa 38 chili, un corpo esile, conseguenza di una detenzione mai capita e molto sofferta. Ma «è una donna molto determinata a far valere le sue ragioni», continua la deputata, «è arrivata in Italia per salvarsi la vita, per trovare un posto sicuro in cui vivere». Quando Boldrini ha rivisto l’attivista per la prima volta dopo la scarcerazione, a Riace, ha visto «la gioia nei suoi occhi, una ragazza rinata anche se il processo deve ancora concludersi».
Majidi, nel testo letto durante la cerimonia, scrive a Boldrini «quattro richieste urgenti». «Primo: fornire alle persone che cercano rifugio in Europa il supporto necessario per preservare la loro dignità», spiega, l’accesso a traduttori, assistenza legale e diritti fondamentali non appena arrivano. Chiede poi di riconoscere «la situazione speciale delle donne rifugiate che provengono da regioni come il Medio Oriente», che portano il peso «della violenza culturale, radicata nelle loro stesse comunità. Molte di noi sono già ferite prima ancora di arrivare qui, a causa delle violenze e degli abusi subiti durante la fuga, e delle dicerie misogine e calunnie che continuano a perseguitarci anche qui».
Il terzo punto portato dalla ragazza all’attenzione di Boldrini lo scrive da «donna curda»: «Fuggiamo da paesi in cui ci viene negata l’esistenza stessa come esseri umani», scrive, «in cui siamo costrette al silenzio e la nostra identità viene negata. Chiedo che l’Italia e l'Europa non solo ci offrano protezione, ma ci accolgano come membri uguali della società». E, infine, è necessario «modificare l’articolo 12 del decreto Cutro. I trafficanti di esseri umani non rischiano la vita sui barconi insieme ai rifugiati; essi operano da paesi come la Turchia, il Nord Africa o il Regno Unito». Per proteggere le frontiere, continua, «dovreste sanzionare i governi sfruttatori e non esporre i rifugiati indifesi ai rischi imposti da questa legge».
Le politiche del governo
E invece il governo «fa accordi con i regimi», ricorda Boldrini, «dichiara sicuri paesi che non lo sono e inasprisce le pene, come ha fatto con il decreto dopo il naufragio di Cutro». Per la deputata il governo non vuole gestire il fenomeno migratorio, ma lo usa «come strumento di propaganda», senza tener conto delle «ingiustizie, delle sofferenze o dei cortocircuiti che le norme della maggioranza creano come sta accadendo nel caso dei centri di detenzione in Albania».
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