«Sono una medica e ho scelto di avere cura delle persone. Faccio un appello a tutte le mediche e i medici: rifiutiamoci di fare i certificati di idoneità per i migranti, anche per coloro che dovrebbero partire per i Cpr in Albania». Con queste parole, Donatella Albini, medica ginecologa, sanitaria della ong Mediterranea Saving Humans e referente per Sinistra italiana per la salute e sanità, chiede a tutto il personale medico di non prestarsi alle visite mediche per l'idoneità fisica delle persone migranti o di certificarne, invece, la fragilità.

«Come medica - continua Albini – dico che tutte queste persone sono vulnerabili. Non è vero che vengono da paesi sicuri. Quelle deportazioni sono scelte politiche». La dottoressa Albini, dopo quarant’anni di lavoro in ospedale e nei consultori di Brescia, quattro anni fa si è imbarcata sulla nave Mare Jonio, che con il suo equipaggio ha soccorso e messo in salvo centinaia di persone.

Racconta a Domani che, già alcuni anni fa, «venne chiesto a noi mediche e medici che lavoravamo negli ospedali di denunciare i migranti cosiddetti irregolari che venivano a chiedere cure mediche in pronto soccorso». In quel frangente, in molti si rifiutarono di farlo: «In coincidenza della norma del pacchetto sicurezza del governo, avevamo creato una campagna “io curo, non denuncio” ed era stato un gesto importante».

«Non possiamo non aver cura delle persone»

Albini afferma: «Non vedo perché io debba dare un certificato di idoneità e di non fragilità perché i migranti possano essere trasportati in questi campi di detenzione che, secondo me, sono illegali: una persona non può essere detenuta se non ha compiuto alcun reato».

Per la dottoressa, tutti i migranti che arrivano sul territorio italiano, per mare o per terra, sono fragili: «L’Oms dice che l’isolamento sociale e il periodo di stress psicofisico dei viaggi rende le persone soggetti vulnerabili, perché mettono a rischio la loro vita e la loro salute. Portarli in un centro di cemento, lontano da tutto, aumenta l'isolamento sociale e il rischio per la loro salute».

Per questo la dottoressa Albini lancia un appello a colleghe e colleghi: «Credo che ci debba essere una disobbedienza civile rispetto a questo. Se abbiamo scelto una professione che ha a che fare con la salute non possiamo non aver cura delle persone. Invito tutte le operatrici e gli operatori sanitari o a indicare tutte quelle persone come fragili oppure a rifiutarsi di firmare le idoneità al trasferimento nei Cpr».

Il certificato di idoneità

L’appello odierno di Albini è stato preceduto da una campagna della Società italiana di medicina delle migrazioni, insieme alla rete “Mai più lager - No ai Cpr” e all’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione).

Le reti avevano chiesto a tutto il personale sanitario una presa di coscienza sulle condizioni e i rischi per la salute delle persone migranti sottoposte a detenzione amministrativa nei Cpr presenti sul territorio nazionale.

Una proposta per i medici che si occupano dei certificati per l’idoneità dato che, per essere inviate nei Cpr, le persone migranti devono essere sottoposte a una “valutazione di idoneità alla vita in comunità ristretta” da parte di personale medico afferente al Sistema sanitario nazionale (Ssn). Nell’appello ci sono diversi elementi di riflessione e azione di sanità pubblica, medico-legali e di deontologia medica.

Questo per poter aiutare i medici coinvolti a dichiarare l’inidoneità alla vita in luoghi pericolosi per la salute e patogeni quali i Cpr di fatto, sono: numerosi report, inchieste giornalistiche e documentazioni del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale hanno evidenziato le condizioni degradate e degradanti dei Cpr in termini igienico sanitari e dello stato delle persone migranti detenute, che presentano spesso gravi problematiche di salute fisica e mentale, esacerbate dal contesto del Cpr stesso, nonché dalle difficoltà di accesso a standard sanitari di qualità garantiti dal Ssn.

Inoltre, a livello internazionale, anche l’Ufficio regionale europeo della World Health Organization (Who) aveva evidenziato i rischi per la salute delle persone migranti della cosiddetta detenzione amministrativa, attuata nei Cpr.

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