Persone che si spostano per cure oncologiche e per interventi chirurgici dal Sud al Nord, ma anche pazienti che, per cercare cure più tempestive, si muovono all’interno della stessa regione. Se la mobilità sanitaria, da un lato, è una garanzia per la cittadinanza di esercitare il diritto di cura in strutture sanitarie di regioni diverse da quelle di residenza, al contempo dà adito al fenomeno della migrazione sanitaria interregionale dovuta alla disparità di offerta assistenziale tra Sud e Nord.

Il trend della mobilità dei ricoveri degli ultimi sei anni (2017-2022), per Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), è costante, con poco meno di 3 miliardi di euro e un decremento significativo nel 2020, ma che inverte la tendenza nel 2021 e prosegue la crescita nel 2022 con 2,7 miliardi.

Le principali regioni attrattive sono Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, mentre quelle di fuga sono Campania, Calabria e Sicilia. Per quanto concerne il flusso migratorio, è tendenzialmente diretto da Sud a Nord, nonostante si osservi anche la mobilità tra le regioni del Centro-Nord, soprattutto di prossimità.

Compensazione sanitaria

La dottoressa Maria Pia Randazzo, dirigente dell’unità operativa statistica e flussi informativi sanitari dell'Agenas, ha curato il rapporto “Analisi della mobilità sanitaria interregionale” con i dati dal ministero della Salute. E spiega a Domani il suo funzionamento: «C’è un accordo stato-regione per la compensazione sanitaria, che annualmente viene aggiornato in ambito della Conferenza stato-regioni».

Le regioni, infatti, definiscono «le tipologie di prestazioni che sono oggetto di compensazioni interregionali, i tracciati, le modalità e le tempistiche che regolano questi scambi. A un dato momento avviene questo scambio di informazioni che viene raccolto dal Coordinamento delle regioni e viene, poi, prodotta una tabella con tutti gli importi, utilizzati per il riparto dell’anno successivo».

Le prestazioni oggetto di compensazione non sono solo i ricoveri, «anche se questi ultimi rappresentano la quota più importante, ovvero circa il 90 per cento della mobilità. Ci sono compensazioni che riguardano anche la specialistica ambulatoriale, la farmaceutica, i trasporti con ambulanza o elicottero per passare da una regione all’altra». Le regioni, successivamente, «analizzano i dati che vengono scambiati e hanno poi un termine entro il quale possono fare delle contestazioni. C'è una fase di consolidamento e di accettazione degli importi definiti, dopodiché essi vanno ripartiti nei saldi che possono essere negativi o positivi».

Generalmente le regioni del sud hanno saldi negativi e le regioni del nord hanno saldi positivi e, a quel punto, «si va a integrare il riparto del fondo sanitario nazionale».

La grafica elaborata da Agenas incrocia il saldo tra i ricoveri in modalità attiva (di persone residenti in altre regioni) e in modalità passiva (di residenti ricoverati fuori regione) con il saldo del valore economico dei ricoveri in modalità attiva e passiva. Per esempio, Lombardia ed Emilia Romagna, connotate dalla forte attrattività che esercitano sulle altre regioni e dall’alto costo dei ricoveri, hanno saldi di ricoveri molto positivi e saldi economici altrettanto elevati. Campania, Calabria, Sicilia e Puglia, all’opposto della bisettrice, hanno saldi di ricoveri e saldi economici molto bassi. Credits: Agenas

Migrazioni sanitarie, Lea e liste d’attesa

La dottoressa Randazzo spiega a Domani che «vige il diritto del cittadino ad andare a curarsi dove desidera. Il nostro ordinamento sanitario regolamenta l’erogazione dei Lea (livelli essenziali di assistenza, ndr) in Italia e non pone limiti al cittadino che può andare dove preferisce». Però è anche vero che «ogni regione deve garantire i Lea a tutti i cittadini» ma, purtroppo, non sono garantiti ovunque: «La tabella Lea presentata dal ministero della Salute una decina di giorni fa ha dimostrato come non tutte le regioni raggiungano il livello minimo per ogni area assistenziale».

In queste situazioni, purtroppo, il cittadino non avendo garanzia dalla sua regione «spesso è costretto a spostarsi, ma è anche vero che all’interno della mobilità sanitaria ci sono anche delle situazioni dove non sempre lo spostamento deriva da necessità di alta complessità», come ad esempio le malattie oncologiche. Secondo i dati Agenas, per la dottoressa Randazzo, si riscontra «che c’è una grande mobilità per le malattie muscolo-scheletriche: tutta una serie di interventi che dovrebbero essere garantiti all’interno della regione di provenienza, dove spesso lo spostamento deriva da un’offerta che viene veicolata dagli specialisti».

Il tema delle liste d’attesa, inoltre, pesa molto sulla scelta di andare in un’altra regione per farsi prendere in carico più velocemente: «Abbiamo osservato che, generalmente, chi viene da fuori regione ha dei tempi d’attesa inferiori rispetto al residente, per favorire l’attrattività sulle strutture, per attrarre più persone anche da fuori regione».

La regione abbandonata, dunque, paga due volte: «Paga la regione d’arrivo, dove è avvenuta la prestazione sanitaria (come debito), e paga l’organizzazione del suo sistema sanitario dentro la regione: l’organizzazione ospedaliera e il personale. La mobilità va a rompere l’equilibrio domanda-offerta all’interno della regione».

Nella finanziaria 2021 è stato previsto che le regioni stipulino «degli accordi con le regioni di confine, ma non solo, degli accordi bilaterali tra regioni proprio per regolamentare la mobilità e per ricondurla all’alveo dell’alta complessità: se devo fare un trapianto o un’intervento di alta complessità, è vero anche che non tutti i territori hanno i centri per poterli effettuare, quindi sull’alta complessità la regione può regolamentare il flusso di pazienti ma, nello stesso tempo, deve porre dei limiti e dei vincoli rispetto a un altro tipo di mobilità, quella di prestazioni basiche» per cui è controproducente sia in termini economici che in termini di disagio generale, per la cittadinanza, andare fuori regione.

Di questi accordi bilaterali, a oggi, non ne sono stati fatti molti. È una materia che «il ministero della Salute insieme ad Agenas stanno cercando di favorire, monitorando la situazione per contenere il fenomeno della mobilità sanitaria» anche se, ad esempio, le regioni del sud non hanno fatto alcun accordo: «Continuano ancora a subire l’effetto fortemente attrattivo dei grandi gruppi di strutture private accreditate, come l’Humanitas e il Gemelli».

Nella grafica l'indice di soddisfazione della domanda interna, ideato dall'Agenas per misurare la capacità del sistema sanitario di una regione di rispondere ai bisogni di cura dei propri cittadini. Quando l'indice è uguale a 1, la regione è in grado di soddisfare completamente la domanda interna di cura. Credits: Agenas

Il caso Emilia-Romagna

Secondo l’ultimo report Agenas, la regione Emilia-Romagna, tra il 2017 e il 2022, presenta ricavi da mobilità attiva sempre più alti della spesa per mobilità sanitaria. Il saldo economico risulta essere sempre positivo: nel 2022, è stato di 337 milioni di euro, in aumento rispetto al 2019 del 13,6 per cento.

L'assessore alle Politiche per la salute dell’Emilia-Romagna, Raffaele Donini, spiega a Domani: «Siamo un sistema molto attrattivo per tanti cittadini fuori regione, ma siamo un sistema prevalentemente pubblico. La nostra struttura è pubblica, universalistica e di alta complessità, ma non sempre è compensata in maniera adeguata dai Drg (Diagnosis Related Groups, sistema di classificazione dei pazienti dimessi dagli ospedali in gruppi omogenei in base alle risorse impegnate per la loro cura, attualmente utilizzato anche in Italia come base per il finanziamento delle Aziende ospedaliere, ndr)», che riguardano le prestazioni sanitarie in mobilità.

«Non ci arricchiamo in termini finanziari con i Drg della mobilità attiva, perchè tutta l’infrastruttura che abbiamo costruito nel corso degli anni per l’alta complessità non è compensata completamente dai Drg, però siamo consci che la nostra professionalità fa bene alla ricerca scientifica, alla clinica assistenziale e chirurgica. Dall’altro lato, vorremmo un paese in cui i cittadini non fossero costretti a compiere autentici viaggi della speranza per curarsi», continua l’assessore.

Con le sole strutture sanitarie «non riusciremmo a farci carico di tutta la complessità che c’è dietro la vulnerabilità del paziente: se un bambino con un problema oncologico arriva da noi, c’è anche la sua famiglia da prendere in carico, con tutta la sua vulnerabilità: in questo ci aiutano molto le associazioni del territorio nella presa in carico dei pazienti: la malattia di un componente della famiglia, rende fragile tutto il nucleo familiare», dice ancora Donini. 

«Non solo non vogliamo arretrare su questa capacità di attrazione, anche dal punto di vista scientifico per le scoperte della medicina su nuove cure, terapie e sperimentazioni, ma anche perché siamo tra quelle regioni che danno esigibilità all’articolo 32 della Costituzione, che riconosce la salute come diritto fondamentale dell’individuo, non solo del cittadino residente», conclude.

© Riproduzione riservata