Il 18 aprile di quest’anno, uno dei più attenti osservatori della pandemia di Covid, l’illustre scienziato Eric Topol – fondatore del Scripps Institute di La Jolla, in California – aveva pubblicato un numero della sua seguitissima newsletter intitolato: Stiamo flirtando con una nuova ondata epidemica di Covid?, in cui faceva una previsione: da quel momento in poi si sarebbe verificata una nuova impennata planetaria di casi di Covid, alimentata da una serie di nuove varianti del Sars-CoV-2 appena comparse, tutte derivate da Omicron, e indicate col nome collettivo di “varianti FLiRT” – da cui derivava il gioco di parole del titolo.

Topol aveva visto giusto: dai primi di maggio, prima negli Usa e in Inghilterra, poi nel resto del pianeta e ora anche da noi, è iniziata una nuova ondata pandemica di Covid che sta quasi ovunque raggiungendo il suo picco proprio in questi giorni.

I dati italiani

In Italia, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, nella settimana che va dal 4 al 10 luglio ci sono stati 5.503 nuovi casi di Covid, in aumento del 42,7 per cento rispetto alla settimana precedente, ma va tenuto conto del fatto che molti non segnalano la propria positività alle autorità competenti, e quindi è scontato che i casi siano in realtà molti di più.

Il tasso di positività medio è stato del 7 per cento, pari al 49,2 per cento in più rispetto alla settimana precedente, e sono entrate in terapia intensiva 32 persone malate di Covid, un aumento del 45,5 per cento rispetto alla settimana precedente. Dal 4 al 10 luglio, poi, si sono verificati 33 decessi dovuti al coronavirus, +83,3 per cento rispetto alla settimana precedente.

Quindi, questa recrudescenza era ampiamente prevista, come era previsto sin dal principio che i casi di malattia grave e i decessi dovuti al virus sarebbero stati contenuti perché fortunatamente siamo tutti vaccinati, con vaccini che ci proteggono a sufficienza anche contro queste varianti mutate.

Le varianti FLiRT

Ma cosa sono queste varianti FLiRT? Dapprincipio, verso la fine del 2023 era comparsa la variante iper-mutata BA.2.87, discendente di Omicron, che aveva destato qualche preoccupazione ma non aveva avuto una grande diffusione; poi nell’inverno scorso era comparsa la variante JN.1, discendente di BA.2.86, anch’essa figlia di Omicron, che grazie ad alcune mutazioni in posizioni chiave era diventata dominante su scala globale ed aveva provocato una nuova ondata pandemica.

Infine, ad aprile di quest’anno – come ha sempre fatto e come sempre farà – il Sars-CoV-2 è mutato ancora e si è ulteriormente evoluto, generando altre nuove varianti. Come mai ciò accade? Quando penetra nel nostro corpo, il Sars-CoV-2 ingaggia una lotta con il nostro sistema immunitario, che ormai ha imparato a riconoscerlo e a uccidere le varianti che ha incontrato fino a quel momento; però, ogni volta che si replica il virus può dare origine a mutazioni nel suo genoma a Rna, che a loro volta provocano modificazioni nella struttura di certe proteine chiave – nella maggior parte dei casi si tratta della proteina spike, quella che il virus utilizza per penetrare dentro le nostre cellule – che lo rendono in grado di sfuggire al nostro sistema immunitario o di diventare più contagioso.

Così nascono nuove varianti del virus che diventano dominanti: da questa perenne lotta tra il nostro sistema immunitario – che impara a riconoscere e a uccidere le forme di virus fino a quel momento circolanti- ed il coronavirus – che si evolve per sfuggire alla sua morsa.

Esattamente in questo modo, la variante JN.1 ha generato una serie di nuove varianti che sono state denominate FLiRT – in ordine di comparsa KS.1, KP.2, KP.1.1, e ora KP.3 – perché hanno aggiunto due nuove mutazioni tra gli aminoacidi che costituiscono la proteina spike: una fenilalanina (F) ha sostituito una leucina (L) in posizione 456, e una Arginina (R) ha sostituito una treonina (T) in posizione 346.

Evidenze scientifiche

Ad aprile, così scriveva Eric Topol: «La mia impressione è che nei prossimi due o tre mesi potremo assistere a una piccola ondata di varianti FLiRT, ma non ad una nuova ondata massiccia di infezioni. Penso che ci vorrà una sfida ben maggiore alla nostra risposta immunitaria di quella posta dalle varianti FLiRT» per avere una ondata pandemica che ponga seri pericoli. Ed è andata proprio così.

Topol non è né un mago né un indovino: basava le sue osservazioni su solide evidenze desunte da ricerche compiute dagli scienziati non appena le nuove varianti avevano fatto la loro comparsa. Gli scienziati agiscono in questo modo: ogni volta che si presenta una nuova variante, esaminano la sequenza di aminoacidi della sua proteina spike, che ne determinano la struttura molecolare, e questa a sua volta permette di desumere le sue caratteristiche e proprietà, che rendono il virus più o meno contagioso, aggressivo e immuno-evasivo. Così sin dal principio è stato possibile capire che le varianti KP.1, KP.2 e la attuale KP.3 sono solo lievemente più contagiose e immuno-evasive delle precedenti, e quindi avrebbero provocato una piccola ondata di infezioni, non più gravi delle precedenti.

«Ma non bisogna essere eccessivamente ottimisti», prosegue Topol. «Le persone a più alto rischio, come gli individui sopra i 65 anni di età e i soggetti immunodepressi, dovrebbero sottoporsi ad una nuova dose di vaccino anti XBB.1.5 (quello aggiornato)». I primi studi sull’efficacia dei vaccini aggiornati dimostrano che essi proteggono a sufficienza anche contro le nuove varianti FLiRT, quindi possiamo dormire sonni relativamente tranquilli.

Chi si è ammalto in questi giorni se n’è reso conto: l’infezione della nuova variante KP.3 provoca i sintomi classici del Covid, simili a quelli di una influenza, almeno negli individui vaccinati, che sono febbre, brividi, tosse, mal di gola, difficoltà respiratorie, fatica, dolori muscolari o corporei, mal di testa, e più raramente nausea, vomito e diarrea; in qualche raro caso si può avere la perdita del gusto o dell’olfatto. La fase acuta ha durata variabile, che va da pochi giorni a una settimana, mentre gli effetti collaterali, come la stanchezza o il malessere generale, possono durare anche di più. Rispetto alle sue sorelle KP.1 e KP.2, la variante KP.3 è solo più contagiosa, con un grado di infettività simile a quella di JN.1.

Non è una banale influenza

Per combattere l’infezione bastano i farmaci che abbiamo imparato a utilizzare nelle ondate precedenti di Covid: paracetamolo, per abbassare la febbre, e ibuprofene, cioè un anti-infiammatorio, per alleviare gli altri sintomi quali il mal di testa, il mal di gola e i dolori muscolari. Nel caso in cui sia concreto il pericolo di sviluppare una malattia più grave, potrebbe essere utile ricorrere (dietro prescrizione di un medico) a farmaci antivirali come il Paxlovid. Ma l’assunzione dev’essere indicata dal medico di base, e iniziare entro 5 o 7 giorni dalla comparsa dei primi sintomi.

Una cosa dobbiamo sempre avere ben chiara in testa: contrariamente a quello che abbiamo sentito ripetere in passato, queste nuove varianti di Covid non sono affatto più miti e innocue delle famigerate varianti del passato, come Delta o Omicron. Se non fossimo vaccinati, la variante KP.3 sarebbe aggressiva quanto l’originaria variante Wuhan del virus, che ha fatto stragi in tutto il pianeta. Quindi, l’unico modo per combattere il coronavirus resta la prevenzione attraverso i vaccini, perché solo i vaccini possono aiutarci a impedire che noi ci ammaliamo di Covid in maniera grave fino a rischiare la morte.

Gli aggiornamenti per il vaccino anti-Covid che dovrebbero arrivare in autunno saranno ancor più più efficaci contro le nuove varianti. Quindi, vaccinatevi tutti, anche i giovani e gli adolescenti. Perché il coronavirus non è – e mai sarà – come una banale influenza: solo il vaccino lo rende tale.

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