Mutui e prestiti negati, adozioni quasi del tutto bandite, licenziamenti improvvisi: spesso gli ex malati di cancro devono fare i conti con una serie di ingiustizie burocratiche e con lo stigma sociale, come emerge dalla storia di Laura Daphne Marziali. Ora una legge e due decreti ministeriali si propongono di dare una risposta alle loro rivendicazioni: ecco cosa prevedono
«Quando hai un tumore sei considerato una persona rotta. La nostra società non dà l’occasione delle seconde vite, quando una cosa è rotta la buttiamo e facciamo così anche con le persone». La testimonianza di Laura Daphne Marziali, 35 anni, ex malata oncologica, è paradigmatica e condensa in poche parole un’esperienza comune a tante persone che, oltre al dolore, fisico e psichico provocato loro dal cancro, una volta guarite devono fare i conti con le ingiustizie burocratiche: mutui e prestiti negati, adozioni quasi del tutto bandite, licenziamenti improvvisi che precludono un ritorno sereno alla quotidianità.
Lo scorso dicembre, per dare una risposta alle loro rivendicazioni, il parlamento ha approvato la legge sull’oblio oncologico. Il 31 luglio 2024, invece, è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale un decreto ministeriale che permette agli ex pazienti di modificare, dietro presentazione di un certificato medico, le condizioni contrattuali o assicurative peggiorative legate alla passata dichiarazione di malattia.
Cosa prevedono la legge e i decreti
La legge permette agli individui guariti da un certo periodo di tempo (dieci anni dal termine delle cure attive senza recidive o cinque anni se il cancro è stato diagnosticato prima dei 21 anni), di non rivelare la propria pregressa condizione di salute per quanto riguarda l'erogazione di mutui e finanziamenti, le condizioni economiche per le assicurazioni, le adozioni e l'accesso a concorsi pubblici o posti di lavoro in generale.
Per l’applicazione pratica della legge sull’oblio oncologico erano necessari due decreti attuativi: il primo, pubblicato il 24 aprile 2024, indica l'esatta tempistica dopo la quale subentra l’oblio oncologico per ciascuna patologia; il secondo è stato pubblicato il 30 luglio in Gazzetta ufficiale e permette a coloro che subiscono le condizioni peggiorative di un contratto, stipulato prima dell'entrata in vigore della legge sull'oblio, di poter richiedere un certificato per azzerare tali clausole penalizzanti.
L’ex paziente deve presentare l'istanza presso strutture sanitarie accreditate o medici del servizio sanitario nazionale, accompagnata da una documentazione medica che dimostri il completamento delle fasi di cura attive (la fine dell’ultimo trattamento farmacologico, radiante o chirurgico, in assenza di recidive). La certificazione verrà rilasciata entro 30 giorni dalla richiesta.
Piccoli passi avanti che non sarebbero stati possibili senza l’attivismo di chi, come Laura, ha saputo trasformare la frustrazione per le ingiustizie subite in rabbia sociale.
La malattia di Laura
«Quando ho scoperto di avere il tumore avevo 28 anni. In quel periodo vivevo all’estero e avevo subito un lutto molto doloroso. Un mio amico era morto in un incidente stradale e io mi sentivo molto stanca». Trascorrono alcune settimane, ma la spossatezza non passa, così Laura decide di tornare in Italia e fare dei controlli.
«Era agosto del 2017, a settembre ho scoperto di avere un cancro alla cervice dell’utero. Avevo perso mio padre nove anni prima a causa di un tumore e chiesi alla dottoressa: “Morirò?”, lei sorridendo mi rispose: “Laura tutti moriremo in questa vita, ma se lei farà quello che noi le diremo ci saranno buone possibilità di guarigione”».
Per la donna comincia quindi un periodo intenso di cure: prima subisce un’isterectomia totale, poi viene sottoposta a chemioterapia, radioterapia e brachiterapia. A distanza di un anno dalla diagnosi Laura è guarita.
Il desiderio di normalità
«Finiti i trattamenti, tornare alla normalità è stato molto difficoltoso». Si pensa che, terminate le cure, tutto torni immediatamente come era prima. Non è così: cambia il corpo, le emozioni, la quotidianità. «Nella mia vita mi sono sempre occupata di teatro, per me era fondamentale tornare al lavoro una volta guarita. Era un modo per ricostruire la normalità e decisi di prendere parte a un progetto. Però capitava che fossi stanca, che arrivassi più tardi o partissi prima dalle prove perché dovevo fare dei controlli. La responsabile del progetto un giorno mi si avvicinò e mi disse che secondo lei avevo bisogno di altro tempo per riprendermi e mi estromise».
Ai problemi sul lavoro si aggiungono quelli finanziari: «Avevo bisogno di comprarmi una nuova macchina, per questo ero andata in una concessionaria e avevo richiesto un prestito con copertura assicurativa all’istituto bancario a cui loro si appoggiavano. Avevo compilato i moduli necessari e dichiarato di aver avuto un tumore, ma qualche giorno dopo mi informarono che la pratica si era bloccata».
Sul momento Laura non capisce quale sia il problema, chiede ma le viene solo consigliato di far sottoscrivere la pratica da sua madre. Lei si oppone e, a quel punto, le viene detto che il problema è la sua malattia, ormai guarita. «All’inizio mi sono sentita in colpa, poi una mattina mi sono alzata e ho realizzato che quello che stavo subendo era un’ingiustizia. Ho fatto ricerche online, scoperto che non ero da sola e conosciuto l’Associazione Aiom (Associazione italiana di oncologia medica). Da lì è iniziato il mio attivismo».
Le adozioni
Laura dal tumore è guarita, ma l’intervento cui è stata sottoposta ha portato delle conseguenze. Tra queste, l’impossibilità di avere figli naturali. «Quando finalmente mi sono scrollata di dosso il senso di colpa e ho iniziato a lottare per i miei diritti, ho voluto informarmi sulla possibilità di adottare. Ho chiesto delucidazioni a un’assistente sociale che abitava in un paesino vicino al mio e che sapeva la mia storia. La sua risposta è stata tagliente: “Già non sei sposata, figurati se scoprono che hai avuto un tumore”».
Nonostante non ci sia una legge che impedisca a chi ha avuto il cancro di adottare, capita di frequente che gli ex malati oncologici non possano percorrere questa strada per avere un figlio. I tribunali procedono infatti in ordine sparso ed è il singolo magistrato a decidere se concedere o meno a chi ha avuto il tumore l’adozione.
«Molte persone si ritrovano a dover fare un viaggio della speranza. Ho conosciuto durante il mio attivismo una ragazza siciliana che per poter adottare si è dovuta rivolgere al tribunale di Milano». La legge sull’oblio oncologico, quindi, è un passo in avanti ma, proprio a causa della discrezionalità del magistrato nelle pratiche di adozione, non può ritenersi risolutiva.
La percezione sociale
A questo si aggiunge, infine, la percezione sociale che si ha dei malati di tumore. «Secondo il comune sentire con il cancro si muore, invece il paradigma deve cambiare: oggi dal cancro si può – anche se, ahimè non sempre accade – guarire. È un cambiamento socioculturale che deve essere fatto», sostiene Laura.
I programmi di prevenzione e la ricerca hanno fatto sì che molte neoplasie siano curabili. Secondo Eurocare-5, in Europa, da alcuni tumori (ad esempio quello al testicolo o alla tiroide e per i melanomi cutanei) si guarisce in più di otto casi su dieci. In Italia, stando ai dati dell’Airc (Fondazione italiana per la ricerca sul cancro), a cinque anni dalla diagnosi di tumore è ancora in vita il 59,4 per cento degli uomini (la stima del 2020 era del 54 per cento) e il 65 per cento delle donne (63 per cento nel 2020).
Almeno un paziente su quattro può considerarsi guarito e ha un’aspettativa di vita uguale a quella di chi non ha mai ricevuto diagnosi di tumore. «Oggi possiamo guarire dal tumore, ma non possiamo guarire da ciò che il tumore porta con sé: lo stigma. La legge sull’oblio oncologico – conclude Laura – è importante, ma in futuro si dovrà garantire anche a chi convive con il tumore fino alla fine dei suoi giorni le stesse tutele di chi è guarito. Nessuno dovrebbe essere marginalizzato e ci sarà sempre da monitorare la discriminazione, perché è un fenomeno che si muove così come si muove la società. Però si deve anche tenere presente che, per quanto diffusa e stratificata, la discriminazione non è la regola. La legge garantisce che dopo un tot di anni si possa accendere un mutuo, ad esempio, ma si può provare a farlo anche prima. Si può tentare di comprare casa, avere un figlio, cambiare lavoro anche da malati».
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