Il capitano azzurro, che ha conquistato con Simone Consonni l’argento nella Madison ai Giochi di Parigi, chiude una lunga avventura olimpica con tutte le medaglie del podio. È l’uomo simbolo del ciclismo italiano su pista. Nello splendido velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines vanno in scena mille lacrime e duemila abbracci. Si chiude un ciclo, con la giusta riconoscenza da tributare
Che differenza c’è tra un vincitore e un vincente?
Prendiamo come esempio Elia Viviani, medaglia d’argento ai Giochi di Parigi nella Madison insieme a Simone Consonni.
È la favola del capitano che a 35 anni chiude la sua avventura a cinque cerchi, completando un personale podio olimpico.
Dal meraviglioso oro di Rio de Janeiro nel 2016 al bronzo di Tokyo 2021 in una edizione dei Giochi dove Elia Viviani ha avuto anche l’onore di essere il portabandiera dell’Italia con Jessica Rossi.
Adesso l’argento in coppia con Simone Consonni in una Madison in cui hanno rischiato di vincere l’oro, sono stati in testa per gran parte della gara, ma hanno pure rischiato di perdere il podio a causa di una caduta di Consonni nel finale: hanno avuto la grinta di reagire e di azzannare con i denti la medaglia.
The Last Dance, l’ultimo ballo del capitano, della faccia di un movimento.
Elia Viviani è il simbolo del ciclismo italiano su pista che è sempre stato parente povero del ciclismo su strada. Non ci sono gli stessi sponsor, in Italia non abbiamo i velodromi, dei veri gioielli, che si trovano in Francia e in UK dove considerano la pista una religione. L’unico velodromo al coperto è a Montichiari, negli ultimi anni è stato spesso chiuso perché inagibile.
Come mai un movimento con tanti problemi e carenze, così faticoso dentro i nostri confini, riesce a vincere così tante medagli negli ultimi anni? Il merito va ascritto a Marco Villa (bronzo a Sydney 2000 nell’americana) vero deus ex machina, con pazienza certosina ha rimesso in piedi una specialità che boccheggiava. Elia Viviani è stato il suo primo e fedele scudiero, disposto a battagliare. Come quando il suo Team e i suoi Sponsor gli intimavano: ehi ragazzo, noi ti paghiamo l’ingaggio, devi fare solo le corse su strada, non puoi perdere tempo anche con la pista!
Come se gli esempi di Wiggins o Cavendish non valessero niente.
Elia ha puntato i piedi: no, io faccio tutte e due le cose. E ha iniziato a trascinare i più giovani che poi a loro volta sono diventati campioni: da Filippo Ganna a Simone Consonni, da Jonathan Milan al movimento femminile che piano piano è esploso, a Parigi ha vissuto io momento più importante con la medaglia d’oro di Chiara Consonni e Vittoria Guazzini nella Madison.
Nello splendido velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines vanno in scena mille lacrime e duemila abbracci. Sono tutti attorno ad Elia che prima piange come un bimbo, poi riceve al collo la medaglia d’argento e dispensa sorrisi con gli occhi luccicanti. Si chiude un ciclo, con la giusta riconoscenza da tributare.
Viviani è un vincitore? Non esattamente, a dirla tutta, perché Elia non sempre ha vinto, ha perso molto in carriera, ha sofferto.
Elia Viviani è un vincente, ed è questa la differenza. Un vincente cerca di migliorare, di superarsi, di rialzarsi. E soprattutto sa ispirare.
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