Il dubbio, per gli italofoni, comincia già dall’articolo: breaking si accompagna a il o la? Certo, è una sciocchezzuola, eppure è indicativo che anche l’approccio con la versione sportiva agonistica della break dance – al debutto olimpico a Parigi nell’area appositamente allestita a Place de la Concorde – sia difficoltoso già dalle regole di ingaggio.

Ma è il bello della novità e, allora, bando al passatismo e ai distinguo dei puristi, perché se il breaking (al maschile: così lo definisce il Coni) è diventato sport a cinque cerchi significa, una volta di più, che le Olimpiadi sono un flusso in divenire e, nell’ultimo quarto di secolo soprattutto, si sono evolute alla ricerca di un pubblico meno paludato, di sicuro più giovane.

Giovani, impegnati, consapevoli. Manizha Talash, proveniente da Kabul, ma a Parigi in squadra con i Rifugiati, durante le prequalifiche si è tolta la felpa nera che indossava per mostrare un panno, una sorta di mantello, celeste con la scritta in bianco: “Free Afghan women". I commentatori della Nbc hanno detto che «Talash gareggia per le donne di tutto il mondo».

EPA

Giovani, ma non solo. In maniera piuttosto curiosa e non certo intuitiva, l’età media dei trentatré iscritti alle gare si avvicina ai trent’anni ed è più alta, per dire, di quelle che si possono trovare nell’atletica leggera o nella ginnastica, e se è vero che tre fra B-Boys e B-Girls sono nati nel 2007 (J Attack, Nicka e Sissy), è vero anche in concorso si trovano pure la 41enne giapponese Ayumi, il quasi quarantenne sudcoreano Hongten e altri undici qualificati già oltre i trent’anni.

Insomma no, non si tratta esattamente di uno sport per adolescenti e, anzi, anche per la storia della break dance, intesa come fenomeno metropolitano dei quartieri latini e afroamericani delle grandi città statunitensi, viene da pensare che in fondo i Giochi, da questa prospettiva, la disciplina l’abbiano scoperta tardi.

Per adolescenti no, si diceva, per iniziati, però, sì, e qui vale la pena tradurre, o almeno fornire una legenda, a ciò che si è appena scritto, a partire da B-Boys e B-Girls, ovvero gli atleti e le atlete, perché quelle sono le definizioni corrette di chi pratica il breaking: è come dire schermidore o schermitrice, nuotatore o nuotatrice, altista, lunghista.

Poi, soprattutto, c’è l’aspetto più singolare, del tutto inedito a livello olimpico: in gara non si va con il proprio nome e cognome, ma con uno stage name. Un alias, un nickname, un nom de plume insomma, di lì appunto i già citati Ayumi, Hongten, J Attack, Nicka, Sissy.

I nickname

Proprio così: sul sito ufficiale delle Olimpiadi, gli iscritti sono indicati con i rispettivi in ordine alfabetico con il loro nome di battaglia (la gara si chiama proprio battaglia, battle) e si va dalla giapponese Ami alla cinese 671, un numero scritto in cifre che identifica una studentessa di diciotto anni nata a Huixian, il cui nome di battesimo è Liu Qingyi – i nomi veri e propri sono indicati, sul sito olimpico, alla voce passport name, ma bisogna scorrere diverse righe per trovarli – ed è stata due volte campionessa asiatica e una volta argento mondiale della disciplina.

Perché 671? Perché la pronuncia della cifra, in cinese mandarino, a quanto pare, è molto simile a quella del suo nome. Per capirci: un po’ come quando l’ex portiere di Treviso, Cagliari e Siena, Fortin, scelse di indossare una maglia numero 14 perché, in inglese, era fourteen, il suono Fortin, più o meno.

C’è del genio, o comunque della fantasia, in tutto questo, ed ecco allora chi sceglie il nome di battesimo (la portoghese Vanessa, l’olandese India, il kazako Amir) e chi stage name più evocativi, come la statunitense Logistx, alias di Logan Edra, orfana di madre, alla quale il nome di battaglia l’ha dato il papà, colui che di fatto l’ha supportata per tutto il suo percorso di B-Girl, o Quake (Sun Chen, di Cina Taipei), il cui nome significa terremoto.

Non uno qualunque, ma quello del 21 settembre 1999, giorno della sua nascita, il grave sisma 921 di Taiwan, magnitudo 7.6. Del resto, breaking è vita e famiglia per tanti, e lo dimostrano B-Girl Kate e B-Boy Victor: ucraina lei, Kateryna Pavlenko, 29enne di Kharkiv, americano di Orlando lui, Victor Montalvo (peraltro uno dei favoriti) moglie e marito nella vita.

Chi vince

Una B-Girl in gara ce l’ha avuta ieri anche la spedizione olimpica azzurra: per l’anagrafe dei Giochi è Anti, il diminutivo di Antilai, nome di battesimo originale almeno quanto la ragazza che lo porta. Antilai Sandrini, livornese di nascita ma cresciuta ad Aviano, quattro tra sorelle e fratelli (Arlette, Amina, Annika e Akim), una passione sportiva che passa dal wushu, vale a dire il kung fu, al cheerleading ed è approdata a Parigi con il breaking. Antilai significa, spiega lei, «figlia del vento», ed è stato coniato da un amico di famiglia, di professione scrittore, e già quello sarebbe stato uno stage name sublime.

Le battaglie danzanti si disputano al meglio di tre round da un minuto ciascuno, e sono i giudici a decidere il vincitore, valutando creatività, musicalità, originalità ed esecuzione. In un’edizione dei Giochi nella quale giudici e arbitri sono stati spesso attaccati, magari proprio il mondo nuovo del breaking rimetterà le cose a posto.

© Riproduzione riservata