Cindy Ngamba, pugile 25enne di origini camerunesi, residente in Inghilterra, si è qualificata per la semifinale di boxe nella categoria dei 75kg, con la certezza di un posto sul podio. «Un traguardo importantissimo» per la squadra nata nel 2016 dalla collaborazione fra Cio e Unhcr. Sono in tutto 37, vengono da paesi in cui la situazione politica è degenerata o sono scappati da situazioni personali di pericolo
È proprio la boxe femminile, al centro di feroci polemiche in gran parte montate ad arte dalla narrazione sovranista e anti-gender anche dello sport, a regalarci una meravigliosa storia di riscatto che riconcilia con lo spirito olimpico più autentico. Protagonista è la pugile 25enne Cindy Ngamba, di origini camerunesi, che, battendo domenica scorsa la francese Davina Michel nella categoria 75 kg, si è assicurata in un colpo solo l’accesso alle semifinali e una medaglia.
Cosa c’è di tanto speciale? Cindy Ngamba non gareggiava per la sua nazione d’origine né per una divenuta sua seconda patria, perché fa parte della formazione olimpica dei rifugiati e con la sua vittoria ha portato alla sua squadra speciale una prima, storica medaglia.
La storia della squadra olimpica dei rifugiati è piuttosto recente. Ha debuttato a Rio in occasione dei Giochi del 2016 e si presentava al mondo con dieci atleti provenienti dalle aree più critiche del pianeta, alcuni ospiti dei campi profughi allestiti dall’Unhcr. La squadra di Parigi 2024 è la più numerosa, con 37 atleti che gareggiano in 12 sport, tra cui judo, taekwondo e breaking.
Alcuni atleti attualmente parte della compagine olimpica dei rifugiati hanno già vinto medaglie rappresentando il proprio paese d'origine durante precedenti Olimpiadi. La situazione degenerata dei paesi in cui vivevano, però, o una condizione personale di pericolo li hanno costretti a fuggire. Ngamba è la prima a vincere per la squadra dei rifugiati, un simbolo che va ben al di là di un podio.
Chi è
Cindy è una vera lottatrice. Si è fatta strada nella vita tra povertà famigliare, episodi di bullismo durante la sua infanzia trascorsa a Douala, discriminazioni durissime a causa della sua omosessualità che nel suo paese così come in molti altri in Africa è punita con il carcere per legge. Non si è certo fatta spaventare da un pubblico quasi interamente ostile visto che gareggiava contro una padrona di casa.
«Oggi – ha dichiarato a margine dell’incontro stravinto per 5-0 - ho combattuto contro un avversaria molto difficile anche perché molte persone non facevano il tifo per me, ma ho ascoltato i miei compagni di squadra, i miei allenatori e me stessa e sono rimasta calma».
Nel prossimo incontro, la sera dell’8 agosto, l’atleta, ora rifugiata in Inghilterra in attesa della cittadinanza, affronterà la panamense Atheyna Bylon.
A maggio Cindy è diventata la prima atleta rifugiata a partecipare al torneo di pugilato delle Olimpiadi e la prima in qualsiasi disciplina a guadagnarsi un posto ai Giochi tramite qualificazione anziché selezione, dopo aver vinto un torneo in Italia.Ed è italiano anche uno degli artefici del progetto, il tiratore Nicolò Campriani, tre volte d’oro da atleta ai Giochi, ex dirigente del Cio e oggi nel comitato organizzatore di Los Angeles 2028.
È lui il coach di tiratori e tiratrici della squadra. Il documentario Taking Refugee raccontava tre anni fa il processo di reclutamento.
Se ci si avvicina a questi 37 atleti, originariamente fuggiti da paesi come Afghanistan, Sud Sudan, Eritrea, Camerun, Congo, Sudan, Iran, Etiopia e vari altri, si sente il disperato grido di quei 117,3 milioni di migranti forzati a lasciare le proprie case a causa di guerre, disastri ambientali, dittature, un numero in costante aumento nell’ultimo decennio.
Quasi la metà sono bambini, una fetta dei quali vaga per il mondo in cerca di rifugio, da sola. La condizione di una enorme maggioranza di loro è segnata dalla vita nei campi profughi, una realtà tanto diffusa quanto drammatica da cui, talvolta, non si esce mai. È qui che alcuni degli atleti si allenano, su strade sterrate trasformate in piste di atletica, o ring improvvisati tra tende e centri di distribuzione cibo.
Come vengono scelti
Quasi tutti gli atleti che partecipano alle Olimpiadi, vengono selezionati dal programma di borse di studio per atleti rifugiati del Comitato Olimpico Internazionale. Il Cio collabora con i comitati nazionali ospitanti per individuare gli atleti rifugiati che vivono nei loro paesi.
A loro eroga le borse di studio per aiutarli ad allenarsi, non solo con l’obiettivo di partecipare alle Olimpiadi, ma anche per sviluppare la loro carriera sportiva. La squadra è scelta dal Cio, mentre le borse di studio e la squadra sono gestite dalla Fondazione Olimpica Rifugiati (Orf), istituita dal Cio per fornire un sostegno costante ai profughi attraverso lo sport.
L’Unhcr collabora con una serie di organizzazioni locali, nazionali e internazionali per favorire sempre più l’accesso dei rifugiati alle attività sportive. «Il risultato raggiunto da Cindy Ngamba – spiega a Domani Chiara Cardoletti, rappresentante Unhcr per l’Italia, la Santa Sede e San Marino - è un traguardo che ci rende molto orgogliosi e la dimostrazione di cosa possono fare i rifugiati se viene data loro l’opportunità.
La partecipazione della squadra dei rifugiati è già un traguardo importantissimo al di là del risultato non solo per i 37 atleti selezionati ma anche per ciò che essa rappresenta per la causa dei rifugiati. Le persone in fuga sognano di ricostruire il proprio futuro in sicurezza e dignità.
Troppo spesso la narrazione che li riguarda mette in luce solo i bisogni primari, tralasciando il talento, il coraggio e la determinazione che portano con sé».
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