Due giovani colorati con gli occhi brillanti e vivaci che bucavano lo schermo: un uomo e una donna composti e impegnati nel reggere l’ombrello sulle teste dei mega-dirigenti, come fosse la fiaccola col sacro fuoco di Olimpia. I volontari sono 45mila e non sono remunerati, non perché non valgono nulla, ma perché sono inestimabili
Dio è nella pioggia, recita una frase resa celebre dal film V come vendetta. E se una dea della solidarietà esistesse davvero, sarebbe stata nei goccioloni caduti copiosi durante la cerimonia di apertura. In questi Giochi diversi, i primi della parità tra atlete e atleti, gli anticonformisti rispetto alle ritualità e i protocolli centenari, i rivoluzionari all’insegna dell’inclusione hanno dato visibilità, sebbene indirettamente, a coloro che sono gli imprescindibili affinché i Giochi prendano vita, ovvero i volontari.
Nella struttura diffusa allestita per la lunga manifestazione di avvio, a nessuno è venuto in mente che a Parigi, forse, avrebbe anche potuto piovere. Così degli spazi riparati e delle tribune coperte non sono stati previsti e il presidente del Comitato Olimpico Internazionale, Thomas Bach e il presidente del Comitato organizzatore dei Giochi, Tony Estanguet, per mantenere un aspetto decoroso e soprattutto mantenere asciutti i fogli da cui avrebbero attinto per il discorso inaugurale, hanno avuto bisogno di qualcuno che reggesse loro l’ombrello.
Accanto ai due presidenti scuri e imbalsamati sono apparsi dunque due giovani colorati con gli occhi brillanti e vivaci che bucavano lo schermo: un uomo e una donna composti e impegnati nel reggere l’ombrello come fosse la fiaccola col sacro fuoco di Olimpia, emozionati e increduli nel ritrovarsi, loro malgrado, al centro dell’attenzione mondiale e di esserlo nel momento più importante dell’Olimpiade a cui hanno dedicato, generosamente, il loro tempo. Per la prima volta nella storia, due rappresentanti dell’enorme squadrone dei volontari hanno condiviso la scena con le massime autorità e hanno catturato l’attenzione sul loro ruolo.
Per dare un’idea dell’importanza e dei numeri, i volontari attualmente impegnati nello svolgimento delle attività e per la realizzazione dei servizi necessari alla macchina organizzativa, sono 45 mila. Può sembrare impossibile ma sono almeno il triplo e talvolta il quintuplo, le candidature che arrivano da persone di ogni parte del mondo, di ogni età e di ogni tipo di competenza per partecipare al processo di selezione.
Fatta eccezione per i ruoli tecnici necessari al funzionamento degli impianti di gara, ogni altro aspetto è in mano ai volontari e i settori di azione sono davvero tanti: ristorazione, trasporti, tecnologia e informatica, accompagnamento delle delegazioni, servizio sanitario, informazioni, cerimonie ecc.
Per ogni area, la candidatura richiede abilità e conoscenze che vengono testate con colloqui e poi con momenti formativi. L’esperienza è considerata un fiore all’occhiello nel curriculum personale e un’avventura di solidarietà rara e indimenticabile. Non ci sono nemmeno rimborsi spese: i volontari si pagano il viaggio e spesso anche l’alloggio.
Di certo hanno solo il vitto e una divisa, ah la divisa si, il senso di appartenenza, la condivisione dei valori olimpici, il contribuire alla realizzazione della più grande festa dell’umanità. Può apparire retorico e forse ai cinici può sembrare anche patetico ma è proprio così che vanno le cose: mentre i Giochi muovono miliardi di sponsor, diritti televisivi, indotto, merchandising, coloro che permettono che tutto si realizzi lo fanno a titolo assolutamente gratuito.
A nessuno ancora è venuto in mente ma ora che questa edizione ha rotto gli schemi, sarebbe il momento di pensare che durante la sfilata di apertura, accanto, prima, dopo o tra una e l’altra delle squadre nazionali, sarebbe bello e soprattutto giusto, dare spazio anche alla delegazione dei volontari.
Perché come diceva un saggio rimasto anonimo, i volontari non sono remunerati, non perché non valgono nulla ma perché sono inestimabili.
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