Addavenì, il Portogallo d.C., il dopo Cristiano, il giorno in cui il fuoriclasse col numero 7, che a febbraio compirà quarant’anni, dirà che può bastare, e allora si aprirà un’altra epoca, quella della successione, un momento che l’ex ct Fernando Santos, in qualche modo, aveva tentato di favorire durante il Mondiale in Qatar, salvo essere sostituito lui da Roberto Martinez.

Intramontabile

Ronaldo c’è ancora, là davanti, e forse ha ragione il selezionatore belga: sabato il suo centravanti ha segnato contro la Polonia il suo ennesimo gol in una nazionale della quale è il calciatore con più presenze e, ovviamente, più reti.

L’ultima, a Varsavia, l’ha siglata ribattendo in rete un diagonale di Leão stampatosi sul palo. Piatto sinistro, gol, la consueta esultanza, anticipata però dall’indice della mano destra a battere sulla tempia, come dire: visto, sono ancora il più intelligente, quel pallone l’ho seguito, io c’ero.

C’era, per la centotrentatreesima volta, dice il sito dell’Uefa, che ha una pagina appositamente dedicata ai suoi gol e la aggiorna ogni volta. 133 che, secondo il portale Transfermarkt, sono in realtà 132, ed è quasi un cliché quando si parla di reti e record: i gol – e quelli di Cristiano sono oltre novecento – ognuno li conta come vuole, nelle statistiche ufficiali ci mette dentro quello che preferisce, l’importante è che poi la somma permetta di essere davanti a tutti: è lo schema Romario, per capirci.

In attesa di un dopo, che chissà quando arriverà, magari vale la pena tornare a ciò che era il Portogallo a.C., ante Cristiano, una nazionale che aveva due caratteristiche fondamentali: era ricca, ricchissima di talento e tecnica, ma non sapeva fare gol.

Il Portogallo a.C.

Parliamo di un altro mondo, più di vent’anni fa, un’epoca che chi ha in Ronaldo un mito difficilmente può ricordare, anche solo per questioni anagrafiche. Eppure sì: prima della sua venuta, il Portogallo quello era stato per tre decenni, dall’addio di Eusebio (ultima partita nella Seleção portuguesa il 13 ottobre 1973, dopo 64 partite e 41 gol) sino alla sua epifania in nazionale maggiore. Bomber in patria, timidi in nazionale.

Non a caso, fra il 1968 e il 1992, il Portogallo aveva fallito la qualificazione a tutti i Mondiali e tutti gli Europei, a eccezione di Francia 1984 e Messico 1986, nel primo caso con gli anziani Nené e Jordão, nel secondo con un Fernando Gomes – classe 1956, cannoniere del Porto – nel suo momento migliore, ma non certo un’iradiddio.

Del resto, nel 1986 c’era anche Rui Aguas detto “o Principe”, classe 1960 e figlio d’arte (papà José era stato un goleador di Benfica e Seleção), ma con la caratteristica di scomparire nei momenti topici. Aguas, già: pochi, i più fortunati, l’hanno visto giocare trentacinquenne anche in Italia, poco in realtà, in una Reggiana non indimenticabile, e pochi mesi prima a Brescia aveva giocato Jorge Cadete, classe 1968, nato in Mozambico, che la stagione successiva avrebbe segnato a raffica nel Celtic.

Quello, però, in nazionale era il momento di João Pinto, centrocampista offensivo leggerino più che attaccante vero e proprio, in un’epoca caratterizzata da campioni veri, dietro le punte però: Futre, Paulo Sousa, Figo, Rui Costa, Deco, giusto per fare alcuni nomi. Fantasia al potere, un Sessantotto calcistico perenne, e con gli stessi esiti infine: concretezza zero. Al punto che nel 2004 una straordinaria coincidenza fra l’apice della generazione d’oro del calcio portoghese e l’Europeo in casa aveva messo ai piedi della nazionale l’occasione della vita. Pareva esserci persino l’attaccante giusto: Pauleta, il Ciclone delle Azzorre, classe 1973, esploso nel Boredaux e allora al Paris Saint-Germain. 30 gol in 57 presenze nel Portogallo sino alla vigilia del debutto all’Europeo.

Fallì, clamorosamente: portoghesi in finale, zero gol per lui, due per il 19enne Ronaldo (i suoi primi due in nazionale, leggasi: segnare quando conta), Rui Costa e Maniche, uno per Nuno Gomes e Postiga.

E se è vero che Pedro Miguel Carreiro Resendes, appunto Pauleta, con 47 gol è il secondo cannoniere della Nazionale dopo Cristiano, è vero anche che proprio Gomes (1976, 29 reti in 79 presenze) e Postiga (1982, 27 in 71) hanno rappresentato le altre promesse poco mantenute a livello di gol.

Nuno, per i critici gran bell’uomo più che gran bel giocatore, in realtà nei momenti giusti i gol li ha anche fatti e, in Italia, resta l’autore della rete decisiva per l’ultimo trofeo conquistato dalla Fiorentina, la Coppa Italia del 2001.

I possibili eredi

Posto che la voracità mediatica della narrazione della carriera di Cristiano Ronaldo finisce per fagocitare e digerire tutto, a onor del vero va segnalato che nell’era Ronaldo si segna in generale di più, ma la sua longevità agonistica, anche ora che il suo calcio quotidiano è in un campionato non di primo livello come quello saudita (o forse proprio per questo), aiuta la nazionale a rimandare il dopo di lui.

L’erede? Gonçalo Ramos si era preso il Portogallo in Qatar, oggi è infortunato ma in nazionale, stante Cristiano, ha giocato da titolare appena la metà delle partite e deve ancora aspettare che il re si stanchi, per il resto, negli ultimi dieci anni, anche tra i capocannonieri della Liga lusitana i portoghesi sono stati appena due (Pedro Gonçalves nel 2021 e Pizzi, che è un centrocampista offensivo, nel 2020, a 31 anni), e alla fine i gol li fanno altri: prima Darwin Núñez e Mehdi Taremi, oggi Viktor Gyökeres. E il Portogallo d.C., un giorno, potrebbe essere simile a quello a.C.

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