In un report pubblicato lunedì 24 febbraio dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) si analizza l’evoluzione dei salari reali dal 2008 al 2024. Quello dell’Italia non è un buon risultato: i redditi sono diminuiti dell’8,7 per cento in 17 anni, in termini di potere di acquisto, il dato peggiore tra i paesi del G20. 

Il confronto con gli altri paesi ad alto reddito

Secondo quanto riportato dall’Oil, nei paesi a economia avanzata del G20, le perdite di salario reale sono state dell’8,7 per cento in Italia, del 6,3 per cento in Giappone, del 4,5 per cento in Spagna e del 2,5 per cento nel Regno Unito. 

I dati evidenziano come la crisi del costo della vita abbia avuto un impatto negativo su tutti i paesi a economia avanzata del G20, con un effetto particolarmente severo in Italia negli anni 2022 e 2023. A partire dal 2024, la ripresa dei salari reali ha interessato l’Italia e gli altri paesi.

I salari non bastano a sostenere il costo della vita

I salari reali non bastano a sostenere il costo della vita dei lavoratori italiani. Infatti, «la crescita dei salari reali non è stata in grado di compensare l’aumento del costo della vita», si legge nel rapporto. Elementi fondamentali da considerare sono i prezzi dei beni alimentari e le spese per gli alloggi, due voci che rappresentano oltre il 60% della spesa delle famiglie a basso reddito.

Da un confronto sull’andamento dell’indice generale dei prezzi al consumo in Italia, ossia l'insieme dei consumi generali delle famiglie italiane, con quello dei prezzi dei beni alimentari e degli alloggi, si osserva un incremento maggiore dei secondi a partire da marzo 2022. 

Anche l’indice delle spese per alloggi è aumentato di gran lunga rispetto all’indice generale, anche a causa dell’impennata dei prezzi delle utenze domestiche, per esempio energia elettrica e gas. 

Le disuguaglianze salariali 

La seconda parte del report si concentra sulle disuguaglianze salariali del reddito da lavoro, dove l’Italia registra un record positivo: «Il divario salariale di genere in Italia è pari al 9,3 per cento, uno dei più bassi tra i paesi dell’Unione europea». Il report si sofferma su due aspetti: la disuguaglianza salariale legata al genere e quella tra migranti e cittadini italiani. 

Per quanto riguarda il primo aspetto, come indicato in precedenti rapporti sui salari dell’Oil, l’Italia continua a mostrare un divario salariale di genere inferiore rispetto alla maggior parte degli altri paesi dell’Unione europea. In realtà questo dato è legato al fatto che il divario salariale «grezzo» è una misura piuttosto imprecisa delle differenze salariali di genere. In particolare, non si tiene conto della diversa distribuzione tra lavoratori e lavoratrici all’interno del mercato del lavoro e delle loro diverse caratteristiche.

Per quanto riguarda il secondo confronto, la disuguaglianza è evidente: i lavoratori migranti in Italia percepiscono un salario orario inferiore del 26,3 per cento rispetto a quello dei lavoratori nazionali, un divario superiore alla media dei paesi europei che è aumentato rispetto al tasso del 21,6 per cento del 2006.

Il dato peggiore riguarda le lavoratrici migranti, per le quali la differenza è ancora più importante: in questo caso, spiega Oil, il divario salariale generale si cumula con quello di genere.

In conclusione, il report sottolinea che nel primo quarto di questo secolo c’è stato in Italia un progresso modesto rispetto alla riduzione delle disuguaglianze salariali. I dati dell’evoluzione delle disuguaglianze salariali in Italia dall’inizio del ventunesimo secolo evidenziano un modesto miglioramento con un valore che si attesa ben al di sotto sia della media globale che della media dei paesi ad alto reddito.

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