My name is Rocco and I come from far away. Il viaggio dice Marina di Gioiosa Ionica, Harrisburg, New York, Firenze. Commisso Rocco che «ho partito pell’Ammerica a 12 anni dalla Calabria» per andare in Pennsylvania con suo padre carpentiere. Tre anni in più e non ci sarebbe stato né il vecchio liceo nel Bronx – Mount Saint Michel Academy –, né la Columbia University e quindi una vita diversa.

Tre anni in più e sarebbe precipitato in un romanzo di John Fante o in un film di John Turturro e forse oggi non parlerebbe così bene dell’American dream. Tre anni in più e Firenze non avrebbe il Viola Park, e nemmeno la sua seconda finale di seguito in Conference League. Perché tutta la vita di Rocco che non divenne mai Rocky – sarebbe stato un voltare le spalle al Santo pellegrino, protettore dal flagello della peste – è in quei tre anni che lo hanno consegnato al sistema scolastico americano.

Il resto l’ha fatto il calcio, un garage e tanta intraprendenza. Se a Marina di Gioiosa Ionica era portiere, a New York divenne stopper e poi pure midfielder nella land of opportunities. Se nel suo garage capì che poteva uscire dal ramo banche ed entrare in quello delle telecomunicazioni partendo dalla provincia, dai posti sperduti, perché conosceva la noia del sud Italia.

Se non avesse avuto la pazienza e la voglia di emergere facendo dieci cose contemporaneamente, oggi, la Fiorentina non sarebbe a giocarsi l’Europa, anche se di terzo livello e forse per questo più bella. La Conference è un girone dantesco, sarà per questo che per la seconda volta di seguito ci arriva la squadra della città dell’Alighieri che poi può vincerla ad Atene contro l’Olympiacos dopo averla persa a Praga contro il West Ham. È l’ultima chiamata per l’allenatore Vincenzo Italiano e per i suoi anni in Viola, è anche la finale da vincere per Joe Barone, dirigente della Fiorentina, morto lo scorso marzo, ma soprattutto ombra di Rocco Commisso fin dai tempi dei lavori in banca.

L’ascesa

Joe era Rocco a Firenze, mentre Rocco stava negli Stati Uniti. Per questo la finale di quest’anno chiude un ciclo, quello del ritorno in Italia che ha bisogno di un “titulo” a suggellarlo. Joe era partito da Pozzallo a otto anni, e poi aveva conosciuto Rocco, e giurato di seguirlo ovunque. Per questo Rocco mai divenuto Rocky ci tiene, e Atene non può fare la stupida stasera. Perché Rocco è un sentimentale anche se è passato per Wall Street, che non l’ha cambiato, l’ha arricchito, ma non rivoltato. Rocco è rimasto Rocco, e si vede quando si arrabbia. Ha i sogni larghi e la forza per andare a prenderseli. Per questo ogni volta che parla col Financial Times in Figc aprono una inchiesta, perché dice le cose come stanno, perché è abituato al merito americano, e anche alla giustizia statunitense. E nonostante Rocco non sia mai diventato Rocky si porta dietro tanto cinema, e la sua vita è stata, è e sarà cinema, perché si muove veloce, pensa veloce e realizza cose.

Rocco non ha paura, non ne ha mai avuta, per questo da Fante a Turturro passando per gli italoamericani di Spike Lee arriva a Scorsese e Coppola, e non per la mafia, ma per la volontà, l’elasticità e le scintille. «Bisinìss solo bisinìss, ok?». Rocco è dinamico, perché sa cosa vuol dire essere povero. Si muove veloce per non dar modo al destino di acchiapparlo. Quando si stava laureando in Ingegneria Gestionale alla Columbia Business School – dove era entrato con una borsa di studio grazie al calcio – aveva già iniziato a lavorare alla Pfizer Pharmaceutical volando a Toronto per andare dalla fidanzata Catherine. Studiava nei lunghi viaggi in metropolitana dall’ufficio a Brooklyn fino a casa sua nel Bronx, riscrivendo il percorso disegnato da Walter Hill nei Guerrieri della Notte.

La discoteca

Intanto ha messo in piedi la prima discoteca italo-americana degli Stati Uniti, due anni prima dello Studio 54, con Pupo al posto di Andy Warhol, e i Cugini di Campagna al posto di Lou Reed e Little Tony per David Bowie. E anche questa parte di vita di Rocco meriterebbe un film. Si chiamava “Act III”, la discoteca, ed era il posto per tutti gli italiani di New York, il programma era quaranta minuti di disco e venti minuti di lenti. «Ho fatto sposare un sacco di gente» ancora ripete orgoglioso Rocco, che spesso suona quei lenti con la fisarmonica e sembra davvero uscire dalle pagine de La confraternita dell’uva. «Da bambino ho preso l’abitudine di alzarmi alle 5.30, per andare alle 6 ad aiutare mio fratello che gestiva una tavola calda a preparare e servire le colazioni. Poi mio fratello ha aperto la prima pizzeria a domicilio del Bronx, “Pizza Time” si chiamava, e io alle 8 andavo a scuola e nel pomeriggio tornavo in pizzeria».

Insomma, la vita di Rocco che non divenne mai Rocky non è stata un picnic. Anzi. Prima di arrivare a Firenze del 2019, e di metterci il cash, come ama ripetere, essendo un americano senza fondo, uno che si è fatto da solo, uno tutto idee e azione, che ha sperimentato il tonfo, il momento che nei film americani ti mettono le tue cose in una scatola e devi ricominciare tutto daccapo. Rocco lavora da Pfizer, poi alla Chase Manhattan Bank (quella di David Rockefeller), e dopo alla Royal Bank of Canada.

Dal 1986 al 1995 è vicepresidente esecutivo, direttore finanziario e direttore di Cablevision, infine fonda la Mediacom chiedendo prestito alle banche dove ha lavorato – e siamo a Scorsese di Wall Street – e battendo l’America profonda: il Sud, il Midwest, Missouri, Illinois, Iowa, Georgia, Florida, comprando cavi e compagnie e piccole compagnie. In pratica una campagna presidenziale con una prospettiva lunghissima. «Compravo qualsiasi cosa fosse in vendita, con i soldi degli altri».

Gli affari di Mediacom

E poi torna in centro, come un personaggio di Don DeLillo: «Non dimenticherò mai le parole di un mio amico che lavorava in Borsa: “Rocco sai qual è il problema? Tu non sei né ebreo né irlandese”. A quel tempo gli italiani non erano ancora arrivati a Wall Street». Che però valuta “Mediacom” 2,5 miliardi di dollari. Seguono alti e bassi, tra bolle speculative e crisi. Ma Rocco ha visto la fame in Calabria, è partito per l’America con suo padre che aveva perso la guerra in Africa, in confronto Wall Street è un terremoto a Reggio.

Quindi capisce che non è un posto per lui e dopo dieci anni e l’80 per cento del valore perso decide che deve tornarsene «nel buco del culo del mondo» per dirla con Noodles, ma con una idea: «Quando ho riacquistato le mie azioni ero l’uomo più indebitato degli Stati Uniti. Ma ha funzionato. Volevo controllare la mia vita, come ho sempre fatto, e anche la mia società. Non volevo avere a che fare con i vari Kkr, Blackstone, Apollo».

“Mediacom” investe sullo streaming e sulla banda larga portandola negli Stati più rurali colmando le distanze. «Negli Stati Uniti la banda larga è stata introdotta dalle tv via cavo prima ancora delle telecom. Io mi sono concentrato sulle reti di tlc locali, nelle 1.500 comunità, piccole e grandi, in cui operavo». Il resto è “Cosmos” e poi Fiorentina, New York, anzi Coney Island dove porta a giocare l’ex squadra di Pelé, Chinaglia e Beckenbauer spostandola da Brooklyn, come se fosse un romanzo di Paul Auster.

Rocco che non divenne mai Rocky per fedeltà al Santo patrono e alle sue radici calabresi è un uomo che sposta mondi, squadre e sogni. Perché, proprio come dice Mac Vitelli (John Turturro), ha una sola idea che parte da sé e arriva a sé: «Ci sono solo due modi di fare le cose, quello giusto e il mio...e sono la stessa cosa». And Rocco did it.

© Riproduzione riservata