Il vescovo di Tarbes e Lourdes, Jean-Marc Micas, ha deciso di non decidere: i tempi non sono ancora maturi per un intervento di rimozione, definito «divisivo». Al momento non saranno più valorizzati dai «giochi di luce durante la processione che raccoglie i pellegrini ogni sera». Intanto il processo per le violenze va avanti nel silenzio
Al Santuario di Lourdes i mosaici di Marko Rupnik non verranno toccati. Dopo più di un anno di riflessione sull’opportunità di togliere dalla Basilica del Rosario le opere dell’ex gesuita accusato di abusi sessuali, il vescovo di Tarbes e Lourdes Jean-Marc Micas ha infatti deciso che i tempi non sono ancora maturi per un intervento di rimozione, definito «divisivo».
Come ha spiegato in un comunicato della diocesi e in una lunga intervista all’emittente cattolica Kto, vicina alla conferenza dei vescovi francesi, monsignor Micas personalmente ritiene che i mosaici andrebbero tolti perché offendono le vittime che vengono a Lourdes per ricevere conforto e accoglienza, ma che un intervento drastico oggi non sarebbe compreso da tutti e aggiungerebbe «violenza e divisione» a una situazione già delicata.
L’unico accorgimento preso dal vescovo riguarda l’illuminazione dei mosaici: non saranno infatti più valorizzati dai «giochi di luce durante la processione che raccoglie i pellegrini ogni sera».
Difficile non pensare alla proverbiale montagna che partorisce un topolino. Il vescovo, insieme al rettore del Santuario di Lourdes, padre Michel Daubanes, aveva infatti istituito nel maggio scorso una commissione apposita per decidere cosa fare dei mosaici della discordia, che dal 2008 rivestono la facciata della Basilica con scene tratte dal Vangelo.
Un compito gravoso ma non privo di coraggio, in un momento in cui le accuse rivolte a Rupnik da diverse donne erano state giudicate «altamente credibili» anche dalla Compagnia di Gesù, che avrebbe poi di lì a poco espulso per disobbedienza il famoso artista.
La commissione nei mesi scorsi ha ascoltato le vittime e interpellato psicologi e persone impegnate nella lotta agli abusi, avvocati, esperti di arte musiva, oltre a diversi esponenti del mondo ecclesiastico e semplici pellegrini, ma non è bastato per raggiungere la decisione di smantellare delle opere che – per usare le parole del vescovo Micas – «hanno costretto delle persone a lasciare immediatamente Lourdes perché profondamente ferite e turbate dalla vista dei mosaici».
Monsignor Micas assicura di non aver ricevuto pressioni da Roma, ma solo «consigli», anche se non si può non sottolineare che il 20 giugno il vescovo è stato ricevuto in udienza privata dal papa, ed è facile immaginare che la questione dei mosaici sia stata al centro della discussione.
Resta il fatto che quello che si annunciava finalmente come un gesto chiaro di solidarietà nei confronti delle vittime si è invece risolto in un compromesso, un ennesimo rinvio della soluzione a data da destinarsi. In questo scenario, pesa ben poco conoscere l’opinione personale del vescovo che, nel non voler prendere una decisione, ha fatto la figura di Ponzio Pilato. Le persone offese da don Rupnik, rappresentate dall’avvocata Laura Sgrò, hanno comunque reagito alla decisione di monsignor Micas con una prudente apertura.
«Si tratta di un primo passo, che accogliamo con favore, ma è necessario che a questo passo se ne aggiungano altri, in breve tempo», scrivono in un comunicato, sottolineando che la prima denuncia di Gloria Branciani, rimasta inascoltata, risale ormai a trent'anni fa. «Se è vero che nelle ore serali i mosaici non saranno più illuminati, di giorno saranno comunque ben visibili e continueranno ad alimentare lo sconcerto dei fedeli e il sentimento di dolore delle vittime», hanno aggiunto. Sgrò si è resa disponibile con le sue assistite a un incontro con monsignor Micas per continuare insieme «un percorso di discernimento».
La polemica
La decisione di Lourdes arriva dopo una polemica, scoppiata nei giorni scorsi, proprio sull’opportunità di usare le immagini delle opere del discusso sacerdote su Vatican News e altri siti ecclesiastici. Al termine della Catholic Media Conference di Atlanta, il prefetto del Dicastero per la Comunicazione del Vaticano Paolo Ruffini ha infatti risposto ai giornalisti che rimuovere le opere di Rupnik dallo spazio pubblico «non è una risposta cristiana e non aiuta le vittime».
Di tutt’altro avviso il cardinale Sean O’Malley, presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei Minori, che il 26 gugno ha inviato una lettera ai prefetti dei dicasteri romani in cui invita alla prudenza «nell’esporre o utilizzare immagini di opere d’arte in un modo che potrebbe implicare una discolpa o una sottile difesa» dei presunti autori di abusi, se non addirittura un’«indifferenza per il dolore e la sofferenza» delle persone offese.
Negli stessi giorni, l’avvocata Sgrò ha inviato una mail ai vescovi e superiori religiosi di diocesi in cui sono presenti opere di Rupnik, chiedendone la rimozione «sia per il rispetto delle vittime che per il carattere stesso del luogo di preghiera».
La porta resta aperta, dunque, e la storia continua, mentre sullo sfondo rimane l’attesa dell’esito del processo ecclesiastico a don Marko Rupnik, riaperto al Dicastero per la dottrina della fede dopo che, nell’ottobre scorso, papa Francesco aveva tolto la prescrizione alle accuse di abuso risalenti agli anni ‘90.
Processo di cui non si sa nulla, tranne un accenno fatto durante un’intervista da monsignor John Joseph Kennedy, capo ufficio della Sezione Disciplinare nella Congregazione per la Dottrina della Fede, che ha assicurato che l’esame del caso «è a un livello avanzato».
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