Il caso del religioso-artista, a lungo protetto dal papa che poi lo ha mandato a processo, continua a far discutere. Il ruolo della diocesi di Roma e del card. De Donatis, la sconfessione da parte della Santa Sede dell’operato dell’indagine interna. Ma per le vittime l’attesa per avere giustizia sarà lunga.
Forse è inutile andare a cercare Marko Ivan Rupnik tanto lontano, l’ex gesuita, artista e teologo, a lungo protetto dal papa prima di essere abbandonato anche da Francesco, accusato di abusi spirituali e sessuali su diverse donne, consacrare e no. Sì, perché secondo indiscrezioni pubblicate dalla testata on line, La nuova bussola quotidiana, Rupnik, i cui mosaici adornano chiese e santuari in tutto il mondo, si troverebbe nel monastero di Montefiolo, nei pressi di Casperia provincia di Rieti, dove si sarebbe stabilito insieme ad altri membri del Centro Aletti, organismo di cui è stato uno dei principali animatori, che promuove il rapporto fra teologia e arte e fra cristianesimo d’oriente e d’occidente.
E in effetti, il Centro Aletti, un tempo affiliato alla Compagnia di Gesù, si definisce «dal giugno 2019» come «un’Associazione pubblica dei fedeli, legata alla Diocesi di Roma». Non stupisce allora, che, secondo le notizie pubblicate dalla Bussola si indichi l’ex vicario della diocesi di Roma, card. Angelo De Donatis, fra i protettori dell’ex gesuita di origini slovene (il quale fra i tanti incarichi ricoperti in passato è stato, per esempio, anche consultore del Pontificio consiglio per la cultura).
In effetti il monastero di Montefiolo risulta assai frequentato sia dai rappresentanti della diocesi di Roma, sia dai membri del Centro Aletti, in nome di una sinergia che, per lo meno fino a non molto tempo fa, procedeva spedita. Dal 2019, il monastero non è più gestito dalle suore benedettine di Priscilla, ma dalla diocesi di Roma, coadiuvata - nella gestione della Casa - da sette monache agostiniane provenienti dal Monasterio de la Conversión di Sotillo de la Adrada, in Spagna. Dotata di 20 stanze singole e una dozzina di doppie e triple, la Casa della Risurrezione - all’interno del monastero - è dedicata ai ritiri spirituali per singoli, piccoli gruppi, sacerdoti, consacrati, laici e famiglie, informava la testata della diocesi capitolina, Roma sette, nel 2020.
Un anno dopo, lo stesso Vicariato, spiegava che «la Casa di spiritualità della diocesi di Roma a Montefiolo, nel comune di Casperia, in provincia di Rieti, ospiterà ogni mese gli esercizi ignaziani in collaborazione con il Centro Aletti, aperti a tutti». Nel gennaio del 2024, anche il card. De Doantis prendeva parte a un incontro nel monastero di Montefiolo con i parroci della capitale. Guardando agli appuntamenti degli ultimi anni, appare evidente che li Centro Aletti avesse scelto il posto pe proporre una vasta serie di iniziative pastorali e teologiche.
Il conflitto con la Santa Sede
D’altro canto, va ricordato che a difendere Rupnik, in un primo momento, sono stati in tanti, e il card. De Donatis si è distinto in al senso. Nel settembre del 2023, una nota del Vicariato dava conto della visita apostolica decisa dallo stesso cardinale presso il Centro Aletti, in seguito alle accuse di abusi che stavano diventando di dominio pubblico: «Il Visitatore ha doverosamente esaminato - era l’imprevista conclusione della visita - anche le principali accuse che sono state mosse a Rupnik, soprattutto quella che ha portato alla richiesta di scomunica. In base al copioso materiale documentario studiato, il visitatore ha potuto riscontrare e ha quindi segnalato procedure gravemente anomale il cui esame ha generato fondati dubbi anche sulla stessa richiesta di scomunica». Dal testo, sembrava aprirsi un conflitto aperto con il Vaticano.
Sta di fatto, che un mese dopo, nell’ottobre del 2023, papa Francesco decideva di derogare alla prescrizione nel caso in questione: «Nel mese di settembre – recitava infatti un comunicato diffuso dal Vaticano - la Pontificia commissione per la tutela dei minori, ha segnalato al papa gravi problemi nella gestione del caso di Marko Rupnik e la mancanza di vicinanza alle vittime. Di conseguenza il Santo Padre ha chiesto al Dicastero per la dottrina della fede di esaminare il caso e ha deciso di derogare alla prescrizione per consentire lo svolgimento di un processo» (a giugno il religioso-artista era stato cacciato dai gesuiti).
Nell’aprile successivo, Francesco allontanava il cardinale Angelo De Donatis dalla guida della diocesi di Roma, e con lui lasciava l’incarico anche uno dei vescovi ausiliari, Daniele Libanori, che è stato anche commissario della Comunità Loyola, ovvero la comunità di religiose fondata da padre Rupnik e nella quale sarebbero avvenuti diversi abusi. Che ne sarà intanto di Rupnik e del processo chiesto a gran voce dalle vittime? Il 23 gennaio passato, rispondendo a una domanda sulla vicenda al giornale della diocesi di Madrid, Alfa y omega, il card. Victor Fernandez, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, spiegava come non ci fosse da attendersi tempi brevi per la conclusione della storia: «Per quanto riguarda il caso Rupnik , il Dicastero ha concluso la fase di raccolta di informazioni, avvenute in sedi molto diverse, e ne ha effettuato una prima analisi. Stiamo lavorando per istituire un tribunale indipendente che passerà alla fase finale attraverso un processo giudiziario penale. In casi come questo è importante trovare le persone più adatte e disposte ad accettare».
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