Anche quest’anno è iniziata la stagione delle occupazioni delle scuole. Per l’Associazione nazionale presidi: «Un atto deprecabile che va estirpato», per gli allievi: «Un modo di riappropriarsi di uno spazio che è anche loro e di creare spazi di discussione»
Liceo Gullace, Pilo Albertelli, Enzo Rossi, Plinio Seniore, Cavour, Virgilio, Gian Battista Vico. Come ogni anno, sono iniziate le occupazioni delle scuole, romane e non solo: per ricordare che nonostante i tentativi di criminalizzare il dissenso dei giovani o di raffigurarli come una generazione in balia di violenza e disagio, da disciplinare, molti adolescenti non hanno perso la fiducia nel futuro. Né la voglia di immaginare una società migliore di quella che c’è.
A unire le occupazioni degli istituti superiori, che sono cominciate con l’inizio di novembre, oltre alle reti studentesche, anche l’opposizione alle politiche del governo Meloni «che puntano a limitare la possibilità di manifestare il pensiero, come con il Ddl sicurezza e la riforma del voto in condotta», spiega Tommaso, responsabile nazionale dell’organizzazione studentesca Osa (Opposizione studentesca d’alternativa): «E il supporto al popolo palestinese che si è evoluto nella richiesta di porre fine al genocidio a Gaza e di condanna nei confronti di Israele che viola il diritto internazionale».
Un altro modello di scuola
Come sottolinea Ernesto, ad esempio, studente che fa parte di Osa, del liceo Camillo Cavour, al centro di Roma, «la nostra occupazione è soprattutto politica. Parte di un percorso che stiamo costruendo per dimostrare la nostra contrarietà alle azioni del governo e al modello di scuola vigente: contro l’alternanza scuola-lavoro, la riforma del voto in condotta, un’istruzione che privilegia il merito invece del contrasto alle disuguaglianze. Contro la riforma degli istituti tecnici e professionali che formano studenti come manodopera per le aziende più che come menti critiche».
A pensare che costruire un’alternativa sia possibile. E a spiegare che le occupazioni delle scuole sono uno dei mezzi che servono per realizzarla, c’è anche Matteo, al quarto anno del liceo Gian Battista Vico di Napoli. Matteo è un nome di fantasia per tutelare l’identità del minorenne che teme ripercussioni sul percorso scolastico: «Abbiamo occupato il 26 novembre. Con il supporto di tutti gli studenti, la decisione è stata presa in assemblea. Il nostro obiettivo è quello di informare, politicizzare, sensibilizzare le persone su temi importanti, come le guerre che ci toccano da vicino. Temi che riguardano tutti, perché siamo sulla stessa barca: per questo organizziamo assemblee, conferenze e corsi a cui invitiamo anche gli studenti delle altre scuole».
La volontà di manifestare dissenso nei confronti delle politiche del governo che provano a reprimerlo e il desiderio di esprimere solidarietà alla popolazione della Striscia di Gaza, stremata dai bombardamenti, sono tra le ragioni che hanno spinto anche gli studenti del liceo Plinio Seniore di Roma a occupare l’istituto, dallo scorso 23 novembre fino al 28. Ma non sono le uniche motivazioni: «Abbiamo scritto un documento con le nostre istanze che vanno dalla richiesta di un’aula autogestita, al piano per ristrutturare l’edificio che cade a pezzi. Fino al ripristino della “settimana dello studente”, giorni di cogestione di alunni e professori che facevamo ogni anno. Che adesso, però, è stata soppressa», chiarisce Emiliano che racconta come prima di occupare, gli studenti abbiamo cercato un dialogo con la dirigenza scolastica.
Rischiare la bocciatura
«La nostra occupazione è stata molto partecipata perché abbiamo parlato di temi che toccano tutti come l’acqua che cade dal soffitto quando piove o le finestre vecchie da cui entra il freddo». Emiliano spiega di essere tra gli studenti che la preside del liceo ha riconosciuto quando è iniziata l’occupazione. Teme il 5 in condotta e quindi la bocciatura, visto che la riforma voluta dal ministro dell’Istruzione e del merito Valditara è entrata in vigore. Ma non abbastanza dall’esimersi dal lottare per le sue idee.
Come chiarisce, infatti, Paolo Notarnicola, coordinatore nazionale del sindacato studentesco Rete degli studenti medi, «non è ancora possibile prevedere gli esiti pratici della riforma del voto in condotta, se quest’anno la stagione delle occupazioni, ad esempio, sarà più leggera rispetto al passato, per la paura degli studenti di esporsi. Certo, il clima di repressione si sente. La scuola, soprattutto quella di Valditara, dà sempre meno spazio alla discussione, alla cittadinanza attiva, all’educazione alla democrazia. Così gli studenti cercano di riappropriarsi di uno luogo che è anche loro, di fare comunità e politica. Forse è proprio nel momento in cui le voci dei giovani vengono delegittimate che diventa necessario alzare il livello?».
Cosa dicono i presidi
Per Antonello Giannelli, presidente nazionale dell’Anp, l’Associazione nazionale presidi, «non c’è alcun clima di tensione nei confronti dei giovani, è una visione ideologica. Mentre le occupazioni delle scuole sono atti illegali che negano il diritto allo studio e spesso causano danni gravi agli istituti. Un fenomeno deprecabile, praticamente solo italiano, che va estirpato».
Per Rosa Palmiero, invece, la dirigente del Liceo Pilo Albertelli di Roma, dove l’occupazione dell’istituto si è trasformata in una settimana di cogestione grazie a un accordo preside-studenti, serve il dialogo: «È fondamentale in ogni aspetto della vita. A scuola è condizione necessaria. Nel documento degli studenti prima dell’occupazione, insieme al mio staff abbiamo colto la sete di conoscenza, l’esigenza di comprendere le radici della realtà, il bisogno di rendere funzionale lo studio a quanto vivono tutti i giorni: la necessità di spazi attivi di partecipazione, che abbiamo reputato sacrosanta. Ecco perché abbiamo parlato con loro e siamo arrivati alla cogestione».
Palmiero racconta che la settimana organizzata dagli studenti è stata ricca di incontri interessanti, dal focus sulla vicenda di Stefano Cucchi, al dialogo con Andrea Segre, il regista del film “Berlinguer. La grande ambizione”: «È stata un’occasione per riflettere. Infatti, ora pensiamo, tra i corsi finanziati con i decreti ministeriali, come quelli Pnrr, di organizzarne alcuni co-progettati con i rappresentati degli studenti».
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