Alla fine anche la chiesa italiana ha battuto un colpo, ed è stato talmente forte da assomigliare a un botto inatteso. È accaduto infatti che l'assemblea sinodale (tenutasi dal 31 marzo al 3 aprile) della chiesa italiana, al termine di un percorso lungo quattro anni, ha bocciato il documento conclusivo messo a punto dal comitato di presidenza del sinodo con l’ausilio della Cei.

L'assemblea, composta da circa mille partecipanti, di cui la metà laici, a sorpresa ha espresso un larghissimo dissenso sulle cinquanta proposizioni proposte, che toccavano tutti gli aspetti della vita della chiesa. I testi sono sembrati all'assemblea sinodale il classico lavoro preconfezionato, in cui si elencano un po' burocraticamente i tanti temi di cui si parla ormai da anni quando si toccano i nodi della riforma.

Così, le proposizioni finali sono state contestate nel merito da tanti interventi (oltre il 95 per cento): nessun riferimento alle donne diacono, scarsa la parte sull’impegno sociale, poco spazio alla pastorale lgbtq, in particolare è stata bersagliata dalle critiche la proposizione numero 5 nella quale si fa riferimento alla necessità di formare operatori pastorali in grado di favorire «l'integrazione delle persone che soffrono perché si sentono ai margini della vita ecclesiale a causa delle loro relazioni affettive o condizioni familiari ferite o non conformi al matrimonio sacramentale (sposati civilmente, divorziati in seconda unione e conviventi eccetera) o del loro orientamento sessuale e della loro identità di genere»; ma anche le proposizioni dedicate ai giovani non sono piaciute.

Pure i temi della trasparenza finanziaria, del governo delle diocesi, dell’eccessiva burocrazia nella vita delle chiese locali sono stati oggetto di forte discussione. Significativa la composizione dei delegati dell’assembla conclusiva: 957 in tutto, di cui 176 vescovi, 246 presbiteri, 442 laici, 31 consacrati, 18 diaconi, 44 tra religiosi e religiose; in questo quadro spicca la particolare presenza dei laici.

A ottobre nuova votazione

E tuttavia nessuno si attendeva una simile levata di scudi di fronte alle proposizioni finali. Probabilmente anche una parte dei vescovi pensava più che altro a una sorta di rappresentazione scenica del sinodo, da chiudere senza reali passi avanti; altri vescovi sono intervenuti per contestare il documento finale.

Ma è stata la base, il grosso dell’assise, a prendere sul serio la sfida lanciata da papa Francesco sulla Chiesa sinodale; una delle critiche arrivate al documento finale riguarda non a caso il linguaggio scelto dove troppe volte si ripetono formule generiche come «si provveda, si faccia, ci si muova». Così la tre giorni di discussione ha avuto un finale a sorpresa: quando ci si è resi conto che gli emendamenti da gestire sarebbero stati troppi per il tempo a disposizione mentre molti erano gli interventi contrari alla struttura stessa del documento finale, è stato deciso di rinviare il tutto.

Giovedì mattina, è stata votata una mozione a larghissima maggioranza (854 votanti: favorevoli 835; contrari 12; astenuti 7), nella quale si afferma: «Cogliendo la ricchezza della condivisione, questa assemblea stabilisce che il testo delle Proposizioni, dal titolo “Perché la gioia sia piena”, venga affidato alla Presidenza del Comitato Nazionale del Cammino sinodale perché, con il supporto del Comitato e dei facilitatori dei gruppi di studio, provveda alla redazione finale accogliendo emendamenti, priorità e contributi emersi. Al tempo stesso, l’Assemblea fissa un nuovo appuntamento per la votazione del Documento contenente le Proposizioni per sabato 25 ottobre, in occasione del Giubileo delle équipe sinodali e degli Organismi di partecipazione».

Tutto rimandato al prossimo ottobre, dunque, e del resto anche l’assemblea generale dei vescovi, tradizionalmente in programma nel mese di maggio, è stata rinviata al prossimo autunno.

Un testo più profetico

Monsignor Erio Castellucci, vescovo di Modena e presidente del comitato nazionale del cammino sinodale, ha rivendicato, nel corso dell’intervento conclusivo, l’originalità del percorso scelto dalla Chiesa italiana come fattore che ha aiutato il cambiamento in atto.

«Non è inutile ricordare che il nostro cammino sinodale si è mosso liberamente rispetto ai canoni di un Sinodo vero e proprio o di un Concilio. Abbiamo percorso in questi anni tre tappe - narrativa, sapienziale e ora profetica - che si sono precisate un po’ alla volta, con scelte ispirate dalla realtà che si stava snodando, non solo riguardo ai contenuti (ad esempio all’inizio non sapevamo quali argomenti sarebbero stati prioritari), ma anche riguardo alle modalità (ad esempio, all’inizio avevamo previsto una sola Assemblea sinodale finale e poi ne sono nate due… e in questi giorni ne è stata proposta una terza). È difficile, ma è anche appassionante, lasciarsi condurre dalla realtà, nella convinzione che lo Spirito semini in essa delle tracce da discernere alla luce del Vangelo».

II cardinale Matteo Zuppi, a chi gli chiedeva se non provasse un senso di delusione per il rinvio ad ottobre dei lavori del sinodo, da parte sua, ha risposto: «Non abbiamo perso la gioia e la consapevolezza» nei confronti dell'assemblea sinodale per il rinvio del voto al 25 ottobre del documento finale. L’unica delusione, ha aggiunto, è dovuta al fatto che «è chiaro che avremmo voluto rispettare il calendario che ci eravamo dati. Ma poi ci siamo accorti che non basta fissare il calendario», questa «è la bellezza della vita e di una Chiesa che è viva. Si cammina». «Ci è sembrato necessario, viste le difficoltà emerse – ha spiegato ancora il cardinale - avere un tempo congruo di maturazione per arrivare a delle decisioni, siamo sicuri che un testo più maturo permetterà scelte ancora più profetiche che riguardano il futuro».

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