«Che cosa stiamo cercando di fare? Non avevamo nemmeno la più sfocata nozione di ciò che avremmo dovuto fare». Nel 2019 un’inchiesta del Washington Post svelava la storia segreta del più lungo conflitto mai condotto dagli Usa. Una storia fatta di bugie e insuccessi
«Eravamo sprovvisti di una conoscenza di base dell’Afghanistan, non sapevamo che cosa stessimo facendo lì». «Che cosa stiamo cercando di fare? Non avevamo nemmeno la più sfocata nozione di ciò che avremmo dovuto fare». «Dopo l’uccisione di Osama Bin Laden, ho detto che lui probabilmente stava ridendo sapendo quanto gli Stati Uniti avevano speso in Afghanistan».
Sono solo tre frasi pronunciate da alti ufficiali dell’esercito statunitense nel 2014 – e pubblicate dal Washington Post in un’inchiesta del 2019 – che danno la dimensione di come, per gli Usa in primis, l’intervento militare in Afghanistan sia stato un totale fallimento. Frasi che aiutano a comprendere perché, dopo 20 anni di occupazione del paese da parte degli eserciti della Nato, i talebani siano riusciti a riprendere il controllo del paese in poche settimane e con una disarmante facilità.
Menzogne su menzogne
Era sotto gli occhi di tutti che la guerra più lunga mai combattuta dagli Stati Uniti nella loro storia non avrebbe portato a nulla di buono. Le più alte cariche istituzionali, politiche e militari, lo sapevano e per anni non solo lo hanno nascosto, ma hanno anche riempito di bugie il popolo americano per continuare a combattere e spendere miliardi per una guerra persa.
«Si è mentito costantemente al popolo americano», ha detto John Sopko, direttore del Sigar, l’agenzia federale che si occupa di eliminare corruzione ed inefficienze negli interventi militari a stelle e strisce.
«Non vedrete in nessun caso gente prelevata da un elicottero sul tetto di un’ambasciata. Ho fiducia nelle capacità dell’esercito afghano, che è meglio addestrato, meglio equipaggiato, e più competente su come si porta avanti una guerra. La vittoria dei talebani non è inevitabile», diceva a inizio luglio il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Parole che cozzano con la presa di Kabul da parte dei talebani di domenica 15 agosto, poco più di un mese dopo la sua dichiarazione. Ma anche con il rapporto dell’ente federale, datato 2014.
Gli Afghanistan Papers
Nel dicembre del 2019 il Washington Post, dopo tre anni di battaglia legale, è riuscito a venire in possesso di centinaia di interviste confidenziali di ufficiali dell’esercito e dirigenti delle amministrazioni Usa che si sono occupati della guerra in Afghanistan.
Erano tutte audizioni condotte dal Sigar, che alla metà del decennio scorso stava conducendo un progetto chiamato Lessons Learned, condotto per cercare di comprendere gli errori commessi durante il conflitto in Afghanistan.
Un conflitto che è costato oltre 2.300 miliardi di dollari – secondo una stima della Brown University – quasi 3mila vite di militari statunitensi, oltre le decine di migliaia di afghani, e centinaia di migliaia di persone ferite.
Le interviste sono state fatte dal Sigar a partire dal 2014: emerge uno spaccato desolante dei risultati ottenuti dagli Stati Uniti in Afghanistan. Con una sola costante: le bugie dette al popolo americano – che contribuiva alla guerra con le vite dei propri cari – e alla comunità internazionale.
Dati falsati e insuccessi
«Tutti i dati forniti erano alterati per fornire la miglior immagine possibile del nostro intervento», afferma al Sigar Bob Crowley, un colonnello dell’esercito che ha lavorato in Afghanistan tra il 2013 e il 2014. «I sondaggi, per esempio, erano totalmente inaffidabili ma rafforzavano la convinzione che tutto ciò che stavamo facendo fosse giusto».
«Che cosa stavamo facendo in quel Paese?», si domanda un funzionario americano non identificato che ha servito come collegamento con la NATO. «Quali sono i nostri obiettivi? Costruire una nazione? I diritti delle donne? Non è mai stato del tutto chiaro nella nostra mente quali fossero gli obiettivi e le scadenze stabiliti».
Un altro alto ufficiale racconta di come «fosse impossibile creare un buon sistema di misurazione. Abbiamo provato a utilizzare truppe addestrate ai numeri, oltre che all’uso della violenza e al controllo del territorio. Ma nessuno riusciva a catturare un’immagine esatta. I sistemi di misurazione erano constantemente manipolati, per tutta la durata della guerra». Insomma, le forze di sicurezza afghane non riuscivano nemmeno nel compito più basilare.
I negoziati di Doha
La storia segreta della guerra in Afghanistan non coinvolge però solo le alte sfere dell’esercito: i presidenti e gli uomini a loro più vicini erano costantemente informati dei veri risultati ottenuti nel corso della guerra, dei veri bisogni del paese, degli insuccessi nelle operazione.
Non hanno però mai preso una decisione che non fosse proseguire nell’impegno di “esportare la democrazia” e continuare “la guerra al terrore” nel paese che aveva dato rifugio a Osama Bin Laden prima dell’attentato alle Torri gemelle e protezione dopo l’11 settembre.
Da George W. Bush fino a Barack Obama, entrambe le amministrazioni sono coinvolte negli insuccessi e nella politica delle bugie.
Il Washington Post ha pubblicato gli Afghanistan Papers nel dicembre del 2019, quando erano da poco iniziati i colloqui di pace con i talebani, voluti dall’allora presidente Donald Trump. Si sono svolti a Doha, alla presenza del capo politico degli “studenti coranici”, Abdul Ghani Baradar, il probabile prossimo capo dello Stato afghano.
A rileggere l’inchiesta del quotidiano statunitense due anni dopo, il crollo del governo afghano e la ripresa del potere da parte dei talebani una volta rimpatriate le truppe Usa sembra più che scontato, inevitabile.
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