Un ragazzo di 21 anni è morto intrappolato all’interno della sua auto a pochi chilometri da Bologna, la città più colpita. Gli sfollati sono oltre tremila
Questa volta c’è anche un morto. È il primo per le alluvioni in Emilia-Romagna del 2024 ma ce n’erano stati 17 lo scorso anno. Simone, il ragazzo che ha perso la vita giovedì notte, aveva vent’anni ed era in macchina con il fratello, in un comune a 15 chilometri da Bologna, quando un’onda lo ha travolto.
La crisi climatica torna a imperversare sull’Emilia-Romagna, questa volta soprattutto su Bologna e i suoi dintorni. Allaga strade, negozi, cantine. Si porta via automobili, beni di prima necessità, ricordi e anche una vita. Gli sfollati sono oltre 3000.
Il sistema idrico di deflusso cittadino non ce l’ha fatta a mantenere una portata d’acqua incredibile come quella che si è riversata nella notte fra il 19 e il 20 ottobre. Molti sono i fiumi esondati in poche ore. Aiutata dal cemento, l’acqua è scesa velocemente dai colli a valle. Nel quartiere Saragozza, subito fuori dalle mura, scorre un torrente che si chiama Ravone. In città non si vede perché passa tombinato: sopra ci sono le case, le strade, il cemento. Nella notte ha rotto la tombinatura, ha invaso le case delle persone.
Crisi climatica
Solo nel 2024 l’Emilia Romagna è stata colpita tre volte, due nel giro di pochi giorni a settembre e di nuovo adesso a un mese di distanza. Pochi giorni fa la Liguria e la Campania.
Nelle scorse settimane parlavamo degli uragani Milton e Helene negli Stati Uniti e nel Golfo del Messico, con tantissimi danni e vittime. A settembre la tempesta Boris ha ucciso 24 persone in Europa Centrale. A maggio il Brasile era stato colpito da un disastro naturale senza precedenti, era esondato il Rio Grande, i morti erano stati quasi 200, più di 800 i feriti.
Le scienze di attribuzione ci dicono che senza riscaldamento globale molti di questi eventi climatici magari ci sarebbero stati lo stesso, ma tutti avrebbero avuto un’intensità di gran lunga minore. Meno danni, forse nessuna vittima.
Certo che se anche fermassimo di colpo tutte le emissioni in eccesso di anidride carbonica – e siamo molto lontani dal farlo – ci vorrebbe del tempo prima di fermare anche le alluvioni, le siccità, gli incendi, gli uragani. E nel frattempo bisogna adattarsi e adattare i territori ad affrontare questi eventi estremo. Per Marco Palma di Bologna for Climate Justice si tratta di fare una scelta politica molto chiara: «La priorità deve essere prendersi cura del territorio che viviamo. Si tratta di rinunciare a nuove opere di cementificazione, prendere i soldi pubblici destinati a operazioni magari nocive per l’ambiente e destinarle a mettere in sicurezza il territorio. Ci vogliono opere infrastrutturali ed ecologiche che contengano l’acqua quando piove tanto e non facciano arrivare l’acqua a valle in un’ora. E molto più spazio per i fiumi».
Secondo il fisico e climatologo Federico Fabiano sono caduti oltre 150 mm di pioggia in un giorno, con punte fino a 200 mm. Di questi, la maggior parte si è concentrata in un tempo brevissimo, fra le 20.00 e le 24.00 di sabato 19. La media mensile di ottobre in quella zona è di circa 80 mm. «Non è un caso che nei due anni più caldi di sempre, con il 2024 che probabilmente supererà il record del 2023, si continuino a ripetere eventi di questa portata».
Un recente articolo dell’Università di Yale osservava come le temperature globali più calde consentano a più acqua di evaporare dai mari e dagli oceani, intensificando le precipitazioni e sottraendo umidità invece alle zone già più secche.
I volontari
Da ieri nelle zone più colpite sono arrivati centinaia di volontari chiamati a raccolta da associazioni già attive sul territorio come la già citata Bologna For Climate Justice e Plat – Piattaforma di intervento sociale.
«Abbiamo organizzato un gazebo solidale in cui diamo tè caldo, cibo e acqua ma soprattutto pale e stivali a tutti i volontari. Solo qui ne sono già arrivati più di cento. La solidarietà non manca ma di lavoro ce n’è tantissimo», racconta Luca Simoni di Plat.
Nel pomeriggio i vigili del fuoco sono dovuti andare via perché la pompa idrovora per svuotare i garage si era rotta, sono rimasti i volontari con secchi e carriole a poetare via l’acqua. Intanto elettricità e rete idrica non potevano essere riallacciate e arrivavano furgoni solidali d’acqua potabile.
Lì dove c’è il loro gazebo solo ieri scorreva un fiume di fango. «Per l’ennesima volta ci troviamo in Emilia e in Romagna a fare i conti con il cambiamento climatico. Oggi è il tempo di indossare gli stivali e offrire il proprio aiuto, ma domani bisognerà continuare la battaglia per far capire che la crisi ambientale non riguarda solo gli attivisti, è un problema di tutti.
Abbiamo alle spalle decine di anni di politiche nazionali e regionali che guardavano solo al consumo di suolo e all’estrazione di valori dai nostri territori. La morte di Simone è responsabilità diretta di quelle politiche», dice Simoni.
Ancora troppo spesso questi fenomeni vengono raccontati come passeggeri e isolati. «Il lavoro è costruire una coscienza che porti le persone a capire la continuità che lega crisi climatica, alluvioni e scantinati allagati» spiega ancora Luca Simoni. Il consumo di suolo e il dissesto idrogeologico fanno da collante.
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