L’offensiva nasce contro il titolo IX, una legge sulla difesa dalle discriminazioni sessuali nei programmi educativi finanziati a livello federale, ma questa ossessione può trovare una sponda in uno dei candidati forti al CIO, Sebastian Coe, in vista dei Giochi di Los Angeles 2028. Una retromarcia drastica rispetto al principio di inclusività delle Olimpiadi
Dopo «il Canada cinquantunesimo Stato dell’Unione», l’idea di Gaza trasformata in una riviera turistica e la guerra dei dazi contro mezzo mondo, ora arriva anche l’attacco alla «follia trasgender» con l’abrogazione del diritto di partecipazione agli eventi sportivi: l’agenda di Donald Trump è un vulcano in piena attività. L’importante è stupire, colpire, mostrare i muscoli sentendosi permanentemente sulla bilancia per il tradizionale peso prima del match con il solito frasario con cui spaventare gli avversari. Che poi sono davvero tanti nel vocabolario del tycoon tornato presidente. L’argomento del giorno sono le parole con cui ha riempito la «giornata delle ragazze e delle donne dello sport». Era alla Casa Bianca, giocava in casa, così ha annunciato di aver firmato un “ordine esecutivo” per «tenere fuori gli uomini dallo sport delle donne».
Il caso Khelif
Trump è laureato in slogan, e per fabbricarne uno utile all’offensiva si è preso il titolo IX, una legge sulla difesa contro le discriminazioni sessuali nei programmi educativi finanziati a livello federale e lo ha cucinato a modo suo: via le atlete transgender dallo sport e chi se ne importa se poi l’esempio fatto si riferiva a un’atleta che transgender non è, Imane Khelif, la ragazza algerina che non ha mai cambiato sesso e che è stata protagonista suo malgrado delle polemiche dell’estate parigina, dalla rinuncia a combattere dell’azzurra Angela Carini contro di lei fino alla medaglia d’oro e all’arrivo trionfale all’aeroporto di Algeri.
Pazienza, l’importante è dare la sensazione di avere un’idea chiara rispetto a quei re tentenna di Joe Biden e Thomas Bach, il suo predecessore alla Casa Bianca e l’attuale numero uno del Cio, ancora per poco visto che a marzo scadrà il suo mandato dopo dodici anni. Biden e Bach, ovviamente in modi e ruoli diversi, avevano affrontato il tema con un approccio inclusivo nel tentativo di trovare un punto di equilibrio fra la necessità di una parità competitiva nello sport femminile e quella di non creare una sorta di girone del disprezzo per un determinato gruppo di persone.
Il clima
Ma che cosa c’è dietro questa decisione? Va precisato che Trump si è per ora mosso nel recinto solo apparentemente ristretto dello sport universitario e questa iniziativa è indirizzata soprattutto verso alcuni enti recalcitranti a interpretare correttamente il verbo “discriminare”: o vi adeguate o vi taglieremo i finanziamenti statali, prendere o lasciare.
Così la massima istituzione dello sport universitario Usa, la Ncaa, ha fatto buon viso a cattivo gioco: ok, almeno si fa chiarezza e non si decide a macchia di leopardo visto che 27 Stati avevano deciso in questi anni per misure restrittive della partecipazione e gli altri no, con pronunciamenti giudiziari di diverso genere su inclusioni, esclusioni e ricorsi. È evidente però che quando si tocca un colosso come le università statunitensi, c’è un ricasco a catena su tutto lo sport mondiale, dove peraltro Trump ha quantomeno un’adiacenza ideale con alcuni dirigenti.
La sponda nel CIO
Sebastian Coe, per esempio, gran capo di World Athletics, è stato un convinto assertore dei divieti di partecipazione fissando la linea, molto discussa, di obbligare le atlete a contenere il tasso di testosterone sotto i 2,5 nanomoli per litro, che poi vuole dire oggettivamente costringerle ad assunzioni farmacologiche, una specie di doping al contrario.
Perseguendo questa linea, come diversi altri sport (nuoto e rugby su tutti), Coe ha affrontato il caso di Caster Semenya, campionessa olimpica degli 800 nel 2012 e nel 2016, costringendola a spostarsi sui 5000 (dove l’obbligo di tenersi sotto la soglia non esisteva) con deludenti risultati fino a ricorrere al Tas e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che peraltro le ha dato ragione, rilevando una violazione dei diritti di difesa, pronunciamento che non ha avuto nessuna traduzione operativa nella sfera giuridica sportiva. Anche la sudafricana peraltro non è transgender, ma nella condizione di «atleta dal differente sviluppo sessuale (DSD)».
Ora Coe è anche candidato alla presidenza del Cio e forse Trump, chissà, non lo vedrebbe tanto male negli uffici di Losanna. Dove però si dice che Bach preferirebbe sedesse Kirsty Coventry, ex nuotatrice dello Zimbabwe con diversi incarichi dirigenziali sulle spalle, favorita nella corsa. Sulla vicenda di Imane Khelif, però, era stata la International Boxing Association squalificata dal Cio (ora spera di ottenere il riconoscimento la World Boxing, a cui peraltro si è affiliata l’Italia con altri 71 Paesi) per mancanza di trasparenza e democrazia, a schierarsi subito sul fronte dell’esclusione tanto che l’algerina non parteciperà neanche alla prossima edizione dei Mondiali in Serbia sulla base di test cromosomici del 2023 per la verità mai chiariti.
Il presidente di questa Iba anti Cio è Umar Kremlev, il russo premiatissimo da Vladimir Putin che annusando l’aria che tira aveva scritto a Trump due settimane fa per riaprire la partita in un futuro neanche tanto lontano, senza il nemico giurato Bach e con una potenziale influente sponda alla Casa Bianca.
La violazione
Probabilmente Trump nella sua crociata ha diversi obiettivi. Sicuramente quello geopolitico sportivo potrebbe intrigarlo, tanto più nel momento in cui Los Angeles prepara le Olimpiadi 2028. Secondo una fonte di Washington citata da Al Jazeera «quando i Giochi arriveranno a Los Angeles la Casa Bianca utilizzerà tutta la sua autorità e abilità per rafforzare l’indirizzo del presidente». La scelta anti transgender violerebbe però tutta una serie di norme, prima fra tutte la Carta Olimpica e l’Host City Contract che ogni città olimpica deve rispettare per avere diritto all’organizzazione dei Giochi e che vieta «ogni forma di discriminazione per motivi di razza, colore della pelle, sesso, orientamento sessuale, lingua, religione, opinioni politiche» incitando invece la promozione dei «principi di diversità, inclusione e gender equality».
Tuttavia c’è anche il fronte della propaganda interna su cui Trump cerca una rivincita. E questo è un terreno su cui sa di dare le carte come nessun altro. In un sondaggio Gallup del 2023, il 70 per cento degli intervistati (due anni prima si era al 62) si dichiarava contrario a far gareggiare le atlete transgender nello sport femminile. Numeri che hanno certamente alimentato la solennità di quel «la guerra contro lo sport delle donne è finito» pronunciato dal presidente. Con un sottotitolo implicito: sono io che vi ho salvato.
Sarebbe interessante sapere cosa pensa di tutto questo Megan Rapinoe, calciatrice bandiera e avanguardia della lotta per i diritti, avversaria giurata del presidente nel Trump 1. Un periodo in cui rifiutare le udienze alla Casa Bianca da parte delle squadre vincitrici era diventato uno sport diffusissimo in polemica con le idee anti inclusive del presidente. Che cova una rivincita: ribaltare i pessimi rapporti con molte stelle dello sport USA, basti pensare ai suoi scontri con LeBron James, per diventare maggioranza anche qui, come dimostra la sua decisione di presenziare al Super Bowl di domenica a New Orleans (una prima volta per un inquilino della Casa Bianca) sfruttando la vetrina assicurata da uno dei super eventi dello sport mondiale. In attesa della prossima crociata da lanciare.
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