Il no global Vincenzo Vecchi era scappato in Francia nel 2012, dopo la sentenza di condanna a 11 anni e 6 mesi per devastazione e saccheggio durante il G8 di Genova. Il reato in Francia non esiste. Per la terza volta, una corte d’appello francese ha negato l’estradizione
Per la terza volta, una corte d’appello francese ha negato l’estradizione per il no global Vincenzo Vecchi, respingendo la richiesta dell’Italia.
I giudici di Lione hanno dichiarato che il mandato di arresto europeo nei confronti di Vecchi non è applicabile e che la pena irrogata nei suoi confronti dai tribunali italiani – 11 anni e 6 mesi per devastazione e saccheggo durante il G8 di Genova – è «sproporzionata» rispetto alla condotta. «Nonostante abbia vissuto per un periodo con falsa identità, per 13 anni ha costruito relazioni, famiglia, lavora, partecipa alle attività della comunità e questi diritti devono considerarsi da tutelare rispetto a una condanna per fatti accaduti nel lontano 2001», per cui l’estradizione sarebbe un «oltraggio sproporzionato», si legge nella sentenza consultata dalla France Press. La motivazione più significativa sul piano giuridico, che richiama le precedenti sentenze ed è destinata a creare tensioni con l’Italia è che i giudici francesi considerano la pena «a tutti gli effetti sproporzionata».
Ora il Procuratore generale ha tre giorni per fare un ricorso alla Cassazione ma Maxime Tessier, che difende Vecchi, ha detto di sperare che «ora questa storia possa chiudersi definitivamente».
La vicenda giudiziaria di Vecchi affonda in quello che è ancora oggi uno dei momenti più difficili della giustizia italiana: il G8 di Genova, con gli arresti dei manifestanti, le violenze delle forze dell’ordine e la morte di Carlo Giuliani.
Vecchi è l’ultimo dei cosiddetti black-bloc ancora latitante e la sua è una delle storie più complicate del cosiddetto «processo ai 25» - che poi in sede di condanna sono diventati dieci manifestanti - a cui i giudici hanno inflitto pene complessive per quasi 100 anni di carcere.
Per loro il reato principale è quello di devastazione e saccheggio, previsto dall’articolo 419 del codice penale. Pur essendo un reato contro le cose – i manifestanti hanno distrutto bancomat, vetrine e negozi – risale al codice Rocco del 1930 ed è inserito nei delitti contro l’ordine pubblico risalenti al regime fascista. Per questo, la pena prevista va dagli otto ai 15 anni di carcere, aumentata dall’aggravante se i fatti sono avvenuti nel corso di manifestazioni.
Il caso Vecchi
Vincenzo Vecchi ha subito un processo con l’accusa di devastazione e saccheggio per i fatti del cosiddetto blocco nero e quelli di via Tolemaide. Secondo la procura, si trovava «nelle vicinanze» di una banca e di un veicolo che sono stati danneggiati. La Cassazione nel 2012 lo ha condannato in via definitiva a 11 anni e 6 mesi di carcere: 10 per il reato di devastazione e saccheggio, il resto per furti e violenze commessi durante le manifestazioni. La difesa aveva chiesto che il reato fosse riqualificato con quello di danneggiamento, ma la Corte non ha accolto la richiesta.
Il processo ha prodotto una grande mobilitazione pubblica, con lo slogan 10x100, come gli anni di carcere complessivi. Gli attivisti hanno fatto leva sulla sproporzione tra le pene molto pesanti irrogate ai manifestanti in base al reato di devastazione e saccheggio, rispetto a quelle ben più lievi previste per gli agenti delle forze dell’ordine, responsabili dei pestaggi alla scuola Diaz e a Bolzaneto.
«Il reato di devastazione e saccheggio, che ha una pena minima molto alta, è tornato a Genova dopo essere caduto in desuetudine. L’ultima volta che era stato utilizzato risaliva al secondo dopoguerra, nei casi in cui briganti facevano razzie nei paesi abbandonati. Noi come difesa ne abbiamo contestato l’uso», ha spiegato Ezio Menzione, avvocato che ha difeso molti manifestanti nei procedimenti per i fatti del G8.
Subito dopo la sentenza di Cassazione sui fatti di Genova, Vecchi è fuggito in Francia, stabilendosi in Bretagna. Nel 2016 l’Italia ha emesso un mandato di arresto europeo nei suoi confronti e per questo, l’8 agosto 2019, quando è stato arrestato a Rochefort-en-Terre, dove lavorava da molti anni come imbianchino.
Il conflitto con la Francia
I giudici francesi, però, hanno contestato il mandato di arresto europeo e anche la natura della condanna della Cassazione. Per questo, il 15 novembre 2019 Vecchi è stato rimesso in libertà da parte della Corte d’appello di Rennes. Nel novembre 2020, poi, la Corte d’Appello di Angers ha rifiutato di eseguire il mandato d’arresto europeo. Il nodo principale ha riguardato il reato di devastazione a saccheggio: l’assenza di un delitto analogo nel sistema penale francese – che prevede reati di danneggiamento ma con pene molto inferiori - e la proporzionalità della pena inflitta.
La decisione francese ha sollevato, però, anche una questione più vasta: la possibilità dello stato estradante di fare un vaglio non solo formale della richiesta di estradizione. Come ha fatto la corte d’Appello francese, che è intervenuta sulla regolarità del mandato e della condanna.
La Cassazione, intervenuta in seguito al ricorso del procuratore, ha interrogato la Corte di giustizia Ue su come interpretare la possibilità di intervenire nel merito sui mandati d’arresto europei. La Corte europea ha stabilito che non serve una corrispondenza esatta tra tutti gli elementi delle fattispecie penali previste a livello nazionale. Proprio ques
ta interpretazione ha pesato nel giudizio e il 29 novembre 2022 la Cassazione francese ha annullato la decisione della corte d’Appello di Angers di non concedere l’estradizione, rinviando il caso per un nuovo giudizio ad una nuova corte d’Appello, indicando quella di Lione.Anche in Francia il caso Vecchi ha mobilitato intellettuali e attivisti contro l’estradizione e l’esito è stato quello sperato: i giudici di Lione hanno mantenuto lo stesso orientamento dei colleghi. Vecchi può rimanere in Francia da persona libera, lontano dai fantasmi di Genova.
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