Il consigliere togato del Csm sostiene la riforma del meccanismo di nomina dei vertici delle procure che prevede di individuare le “regole del gioco” con punteggi fissi o variabili
Al Csm, da cui non si è ancora del tutto dissolto il fantasma del caso Palamara, si sta animando un dibattito sulla riscrittura delle regole che oggi determinano le nomine delle figure apicali degli uffici giudiziari. Una riforma determinante, «e l’ultima possibilità per una vera autoriforma» la descrive il consigliere togato di Unità per la Costituzione Michele Forziati.
Consigliere, la riscrittura delle regole sulle nomine dei vertici delle procure riguarda il tema che ha terremotato la magistratura, dal caso Palamara in poi. La circolare può essere lo strumento per dimostrare che qualcosa sta cambiando?
A mio avviso occorre ricordare che l’attuale testo unico sulla dirigenza giudiziaria, risalente al 2015, era stato approvato con l’intento, esplicitato con chiarezza nella relazione introduttiva, di «garantire le esigenze di trasparenza, comprensibilità e certezza delle decisioni consiliari». Purtroppo, a dispetto delle buone intenzioni, nella sua applicazione pratica sono in più occasioni emersi i limiti di una regolamentazione a maglie troppo larghe, che ha portato a scelte poco comprensibili e talvolta contraddittorie. È in questo contesto che si inserisce la cosiddetta riforma Cartabia, attuata dal decreto legislativo n. 44 del 2024, che ha imposto al Consiglio di modificare la circolare soprattutto nella parte relativa alla valutazione e comparazione dei candidati. Direi che dunque, su questo tema, le esigenze di cambiamento siano avvertite da tutti.
In commissione ci sono due proposte: una che lascia al Csm ampio margine di discrezionalità e intatti gli indicatori di valutazione. Un’altra che invece è più innovativa, perché circoscrive la discrezionalità del Consiglio attribuendo un peso ai diversi parametri di valutazione. Lei sostiene questa seconda, perché?
In realtà il sistema che io e altri consiglieri abbiamo pensato non riduce affatto la discrezionalità del Consiglio, limitandosi ad anticiparne l’esercizio al momento dell’individuazione delle “regole del gioco” e dunque prima di conoscere i nomi dei candidati: ciò proprio nel rispetto di quanto previsto dalla legge, che ha dato mandato al Consiglio di determinare quale sia il rilievo da attribuire a una serie di elementi significativi ai fini della scelta del miglior dirigente. Ovviamente, nel determinare tale rilievo, abbiamo operato delle scelte di campo, puntando a valorizzare in primis l’esperienza nella giurisdizione e le attitudini organizzative.
Come funziona il sistema dei punteggi che lei ha proposto?
Nella nostra proposta si attribuisce a monte un valore – espresso appunto con un punteggio fisso o variabile – a ciascuno degli elementi indicati dal legislatore e con riferimento a ciascuna tipologia di ufficio, in modo che la successiva comparazione tra i candidati sia trasparente e verificabile.
Non teme che si riduca il peso del consiglio, imbrigliando così la valutazione sugli incarichi?
Il Consiglio fa tantissime altre cose fondamentali per il governo autonomo. Io e gli altri consiglieri di Unità per la Costituzione, fin dall’inizio della consiliatura, abbiamo partecipato attivamente alla redazione delle circolari sui carichi esigibili nazionali, sull’organizzazione dei tribunali e delle procure, sulla magistratura onoraria e sul procedimento di trasferimento d’ufficio per incompatibilità. La scelta dei dirigenti degli uffici è un tema molto drammatizzato che, però, impatta relativamente sull’organizzazione degli uffici e sul servizio che si rende ai cittadini. Sono convinto che non sia su questo che debba essere misurato il peso del Consiglio.
Può essere questo un antidoto al cosiddetto carrierismo?
Sicuramente il tema delle nomine impatta molto sulle carriere dei singoli magistrati. Le pur legittime aspirazioni dei singoli devono però essere calate in un contesto di regole certe, comprensibili e verificabili.
Che possibilità ci sono che la proposta da lei sostenuta passi?
Confidiamo che la nostra proposta – che allo stato può contare sul sostegno dei consiglieri di Unità per la Costituzione e di altri consiglieri e che presenteremo tutti insieme a Milano il prossimo 11 ottobre, in un incontro trasversale senza vincoli di appartenenza – venga apprezzata dai colleghi e contribuisca ad arginare il carrierismo interno. Siamo inoltre convinti che si tratti di una risposta seria a quanti sostengono la necessità di sorteggiare i dirigenti degli uffici giudiziari.
Anche questo consiglio è tacciato di essere molto correntista, anche se ora la divisione sembra diventata quella tra togati e laici. Lei come lo descriverebbe?
È un Consiglio che ha bisogno di strumenti di lavoro nuovi per poter finalmente dimostrare un reale cambio di passo rispetto al passato: la strada che abbiamo indicato con il nuovo testo unico mi pare sia l’ultima possibilità per una vera autoriforma.
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