Infine lo scontro in corso tra governo e magistratura – sia sul provvedimento del tribunale di Roma sul trattenimento dei migranti in Albania sia sulla mail critica, nei confronti della premier, del magistrato di Md, Marco Patarnello – è arrivato al Csm. Che, tradotto, vuol dire sotto gli occhi del capo dello stato, Sergio Mattarella, che del Consiglio è presidente. E non poteva essere altrimenti.

L’organo di governo autonomo è la sede istituzionale (e disciplinare) deputata a valutare entrambe le questioni. Così è successo, attraverso la richiesta di apertura di due diverse pratiche che delineano le divisioni tra la componente togata e quella laica, ma anche due diverse interpretazioni del ruolo della magistratura.

Le due pratiche

I primi a depositare una pratica sono stati i cinque laici di area centrodestra, che hanno chiesto al Comitato di presidenza di intervenire in merito alle esternazioni via mail di Patarnello, «che appaiono gravemente lesive dei caratteri di indipendenza e imparzialità che ogni magistrato deve possedere».

Dunque la pratica è richiesta «a tutela della maggioranza dei magistrati italiani, i quali intendono continuare a svolgere le funzioni che sono loro affidate in modo credibile e, dunque, con rigore, terzietà e senza pregiudizi ideologici o politici». Patarnello, secondo i laici avrebbe leso «l’autonomia, l’indipendenza e il prestigio dell’ordine giudiziario». Due i possibili esiti: il più grave è l’attivazione dell’azione disciplinare, il secondo una valutazione di incompatibilità ambientale e dunque il trasferimento di ufficio.

Contemporaneamente anche le toghe si sono mosse per chiedere una pratica a tutela per i giudici del tribunale di Roma, accusati dal governo di fare opposizione politica con il provvedimento che non ha convalidato il trattenimento dei migranti in Albania. Sedici le firme: i togati di Area, Md e Unicost, gli indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda e i tre laici di minoranza. Si legge che «le critiche alle decisioni giudiziarie non possono travalicare il doveroso rispetto per la magistratura: applicare e interpretare le leggi di fonte nazionale e sovranazionale nei singoli casi non significa occuparsi di politiche migratorie o di altro genere» e le dichiarazioni del governo «alimentano un ingiustificato discredito nei confronti della magistratura».

Nel limbo di queste due prese di posizione, più di politica giudiziaria che produttive di effetti concreti (le pratiche a tutela finiscono in discussione in Prima commissione, in cui se ne contano già una trentina), rimangono i conservatori di Magistratura indipendente. Il gruppo, che negli ultimi mesi aveva trovato unità di intenti con le altre correnti a partire dal no alla separazione delle carriere, ha invece scelto una posizione autonoma.

Da un lato, pur non firmando (né gli è stato chiesto dai laici) la pratica contro Patarnello, ne ha stigmatizzato in un comunicato il comportamento. Dall’altro non ha firmato nemmeno la pratica dei togati, seppure i colleghi abbiano tentato fino all’ultimo di farli convergere.

I togati di Mi hanno deciso di limitarsi a un comunicato di «solidarietà ai colleghi» e spiegato il loro no alla firma perché «manca la necessaria presa d’atto della inopportunità delle dichiarazioni pubbliche in precedenza rilasciate da un componente della sezione immigrazione, firmatario dei provvedimenti, con le quali era già stata più volte manifestata una precisa e netta posizione di contrarietà alla normativa da applicare». E il riferimento di Mi è alla giudice Silvia Albano, presidente di Md.

Visione di magistrato

Lo scontro si muove dunque su due assi paralleli. Politicamente il risultato sarà un «un uno a uno, palla al centro», teorizza una fonte laica, secondo cui però esiste un tema intorno alla questione Patarnello che – pur privatamente – riconoscerebbe anche Md: la problematicità di alcune esternazioni dei magistrati, che poi diventano oggetto di facile strumentalizzazione. Questo uno a uno però si traduce nella rappresentazione plastica di due visioni opposte del contegno dei magistrati.

Quella dei laici di centrodestra e anche di Mi muove dalla convinzione che «la maggioranza delle toghe mal sopporta un certo tipo di esternazioni fuori misura, che ledono l’immagine della categoria», spiega una fonte qualificata, e dunque l’impostazione è quella di un magistrato più silenzioso, «che applichi self-restraint». Un modello, questo, «che è in linea con quello che vorrebbe l’attuale governo e che sottintende con tutte le sue iniziative di riforma», è la critica mossa da una fonte progressista.

La visione opposta, prospettata da tutto il resto delle toghe – almeno dell’attuale Csm – è quella di difendere il diritto dei magistrati di prendere posizione nella fase di formazione delle leggi, senza che questo debba implicare la rinuncia a svolgere le funzioni di giudice o astenersi dai processi in cui poi quelle leggi vengono applicate. Altrimenti ci sarebbe un «arretramento di oltre sessant’anni rispetto alla visione del ruolo della magistratura» ha spiegato l’indipendente Roberto Fontana.

Lo scontro in corso ieri si è rinfocolato anche con le dichiarazioni del segretario di Md Stefano Musolino, che ha risposto agli attacchi del ministro della Giustizia, dicendo che «l’esuberanza di Nordio ne esalta la autostima linguistica, a discapito della lucidità giuridica». Tuttavia, al netto della contingenza che ora ha investito anche il Csm, la contrapposizione in corso avrà una diretta ricaduta elettorale interna. A gennaio si svolgeranno le elezioni per l’Anm. «E l’immigrazione è ormai terreno per fare campagna elettorale», è la convinzione di una fonte conservatrice in Consiglio, cui risponde a distanza un progressista secondo cui «la presa di posizione di Mi è stata decisa pensando al voto».

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