L’America isolazionista o protezionista? È più probabile la seconda ipotesi, visto che gli Stati Uniti non abbandoneranno mai l’Europa ma le impongono dazi pesanti. Non vogliono perdere il controllo dell’Eurasia, ma nemmeno pagare per la propria egemonia a cui non rinunciano. Contano sull’aumento della spesa militare europea e condannano l’Iva che considerano un dazio ingiusto nei loro confronti.

Da un punto di vista militare ciò che vanno facendo i leader della Ue è esattamente ciò che vogliono gli americani: RearmEurope è il loro disegno. Un’Europa autonoma dal punto di vista delle armi convenzionali serve agli Usa per spostare mezzi e uomini su altri fronti.

L’evidente debolezza russa ha convinto il Pentagono che bastino gli europei a contenerla. Sperano di poter ottenere la stessa cosa in Medio Oriente, con israeliani, sauditi o turchi. Ciò che non cambierà è il backup e il nucleare: oltre l’ombrello atomico, l’Europa avrà sempre bisogno del sostegno Usa in comunicazioni satellitari, spazio e controllo della guerra cibernetica. Per millenni la guerra si è fatta in terra e sul mare.

Poi è arrivato il cielo e infine lo spazio. Ma ora si aggiungono i “terreni” cibernetico e cognitivo: le possenti armi di “distrazione di massa” o di propaganda fake, essenziali in tempi di psicologizzazione generalizzata. In altre parole: a cambiamento antropologico, mutamento di terreno bellico.

In queste settimane gli europei subiscono una pressione americana insopportabile: non potranno far finta di niente come durante le amministrazioni Obama e Biden. Reagiranno ai dazi – anche il governo italiano dovrà farlo - anche se sanno che dovranno spendere di più in armamenti.

L’unica questione militare ancora aperta è dove e cosa si compra in armi: i francesi vorrebbero che il Buy Europe si limitasse all’Unione, escludendo britannici e soprattutto americani. Italiani e polacchi (assieme ad altri) invece insistono affinché le sovvenzioni europee e il permesso di spendere oltre i limite del deficit siano aperti anche a questi ultimi. Per Roma si tratta di una posizione obbligata: la nostra industria degli armamenti è fortemente connessa con quella britannica che sua volta è legata a quella Usa.

Di conseguenza è nostro interesse nazionale rimanere dentro l’anglosfera, pena il ritardo di molti programmi e lo spreco delle risorse già investite. Il fatto che i dazi Usa su Londra siano fermi al 10 per cento può favorirci in questo settore.

Resta che l’unico reale game changer del riarmo europeo è quello tedesco. Cinquecento miliardi annui per dieci anni come promesso da Friedrich Merz significano che a termine la Germania tornerà ad essere la maggior potenza militare europea, superando la Francia, a parte il nucleare. Chi saprà mettersi in rete con i tedeschi verrà favorito, malgrado i dazi americani. Per ora l’Italia compra sommergili tedeschi e ha una cooperazione Leonardo-Reihnmetall sui blindati. Per non incorrere nel malumore americano occorrerà rifornirsi anche oltreoceano.

Potrebbe essere questa l’occasione per riequilibrare la bilancia commerciale, reagendo ai dazi almeno in un secondo tempo. Per ora dovremo sopportarne il peso perché il protezionismo americano è certamente diventato una politica indispensabile per Donald Trump. La politica commerciale dei 27 è comunitaria e ciò rende impossibile accordi separati o privilegiati, da parte europea.

Siamo abituati alla politica delle tariffe: le misero anche Clinton, Bush jr e Obama. Ma la pressione americana ha raggiunto livelli insostenibili e ci costringerà ad una guerra commerciale per poi negoziare lungamente e convincere Washington che è preferibile una decisione win-win.

Trump è un mercante e crede che questo sia il suo terreno di elezione. Sulla breve l’Italia e l’Europa tutta soffriranno dei dazi Usa e dovranno riorientare il proprio export su altri mercati. Alla fine il coltello americano si rivelerà spuntato e la politica dei dazi controproducente. C’è molto da fare su questo terreno, e in modo molto più produttivo che in quello delle armi, a parte forse la ricerca nelle telecomunicazioni e nello spazio. Oggi tutti lamentano l’improvvisa (quanto prevedibile) dipendenza da Starlink e da SpaceX. La domanda da porsi invece è: perché l’Europa – e segnatamente la Germania - ha smesso da 15/20 anni di fare ricerca tecnologica limitandosi alle esportazioni? Ogni sonnambulismo si paga alla fine.

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