«Hanno ammazzato due dei nostri, noi prendiamo due dei loro. Abbiamo organizzato una spedizione di rappresaglia basandoci sulle informazioni di un nostro amico che dal carcere ci mandava a dire chi fossero i responsabili. E noi partimmo per colpire un collettivo di San Giovanni Bosco. Abbiamo sparato e io ne ho ucciso uno».

Rabbia, orgoglio ferito e voglia di uccidere. Ai microfoni di Radio1 Valerio Fioravanti ha raccontato con grande lucidità come i Nar si vendicarono dei morti di Acca Larentia, ammazzando a sangue freddo Roberto Scialabba, il militante di Lotta Continua che quel 28 febbraio del 1978 guarda in faccia i suoi killer, prima di morire, senza avere il tempo di scappare.

I rituali, i miti, la simbologia: la data dell’omicidio non è scelta a caso, perché quel giorno ricorre l’anniversario di Mikis Mantakas, studente greco iscritto al Fuan (Fronte universitario d’azione nazionale), ucciso nel 1975. La liturgia identitaria è quella cara alla destra eversiva e chi è stato marchiato da quegli anni di violenza politica, nelle piazze, nelle manifestazioni, nei cortei studenteschi, nelle aggressioni a mano armata pressoché quotidiane, se lo ricorda bene.

Pestaggi, crani fracassati, denti spaccati, ragazzi uccisi sotto il portone di scuola o al rientro a casa che hanno lasciato famiglie straziate dal dolore. Oppure sopravvissuti alle botte, alle spedizioni punitive, al sangue sul selciato, che per pudore e reticenza, hanno deciso di chiudersi nel silenzio e dimenticare i traumi vissuti in gioventù, condannando le tante verità sugli aggressori a galleggiare in un mare di omertà, reticenze e depistaggi. Non ci pensiamo spesso, ma i responsabili di tante cronache criminali sono ancora in mezzo a noi, inseriti a pieno titolo in posizioni di prestigio sociale, politici, giornalisti, insegnanti, architetti, persino primari di ospedale.

Per l’attuale classe dirigente, in gran parte proveniente dalla destra neofascista, sarebbe dunque giunto il momento di mettere a tacere le tante verità negate, per sfogliare certi album di famiglia (da sempre indicibili) senza avere paura di affrontare i traumi del passato: non per una favolosa pacificazione o perché sia finalmente giunto il tempo del riscatto per gli “underdog” (ai quali piace raccontarsi messi ai margini o irrisi), ma per un dovere di verità storica e di rispetto verso le vittime e i loro famigliari.

Legittimarsi come forza moderata, liberale e moderna significa anche non mostrare difficoltà nel rompere con certi sentimenti nostalgici mai sopiti: dal culto del sangue tipico dello squadrismo del ventennio, passando per il pugno che stringe la fiaccola tricolore, fino al mondo popolato da elfi e gnomi tolkieniani.

Un interminabile coro di sottofondo fatto di gente che evidentemente trova rassicurante tornare indietro nel tempo, quando Acca Larentia, oggi crocevia dello shopping nel quartiere Appio latino, fra la Tuscolana e la Via Appia, era un’anonima strada alla periferia di Roma est, affacciata su palazzoni popolari venuti su dalla speculazione edilizia, con i bambini che giocavano fra case senza acqua corrente e fognature e molti ragazzi trascorrevano i pomeriggi frequentando le sezioni del Msi.

Gli anni dei Campi Hobbit, dei raduni giovanili nati attorno al Fronte della gioventù che reclamavano la loro rivoluzione culturale con la celtica al collo, leggendo La voce della Fogna, foglio satirico con vignette ispirate alle vicende di un topo nero che, dopo decenni di confino sottoterra, si liberava stracciando la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo per riportare i neri in Africa (sotto le colonne della mussoliniana Roma Imperiale) recuperando dai tombini i feti gettati via dai tanti, troppi aborti di donne italiane senza più morale. Chissà se l’attuale classe dirigente è cresciuta leggendo certa stampa (a me capitò negli anni Novanta con una compagna d’università che si dichiarava di estrema destra e frequentava la sezione di Colle Oppio).

Magari il prossimo 7 gennaio Giorgia Meloni sorprenderà tutti rompendo con questa nefasta tradizione, fedele a quella legge Scelba che se applicata dovrebbe vietare alle centinaia di camerati il saluto romano al grido di “Presente!”. Perché del disciolto partito fascista e dei suoi rituali mai rimossi la Nazione chiamata Italia non ha davvero più bisogno.

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