L’invito di Leonardo Caffo da parte di Chiara Valerio alla fiera Più libri Più liberi ha creato una miriade di reazioni (giustamente) indignate vista l’inopportunità di invitare una persona in attesa di giudizio per maltrattamento all’interno di un festival dedicato alla memoria di Giulia Cecchettin.

La reazione di Chiara Valerio si è appellata al diritto di parola di una persona che è in attesa di sentenza definitiva. La maggioranza delle risposte ha correttamente fatto notare che la questione penale non ha alcuna rilevanza dato che una cosa può essere inappropriata pur essendo legalmente ammissibile, e che anche un condannato in terzo grado di giudizio ha diritto di parola.

Partendo da questo punto, bisogna capire che cosa implichi questo diritto. Per farlo, anche a costo di risultare inutilmente professorale (in questo, così come in tanti altri casi, il peccato capitale in qualsiasi discussione pubblica odierna), è necessario ricorrere a un armamentario filosofico.

In che senso il diritto di parola è un diritto? Più di un secolo fa, il giurista americano Wesley N. Hohfeld ha analizzato i diversi significati dei diritti. Innanzitutto, bisogna distinguere tra diritti-pretesa (claim rights) e diritti-libertà (liberty rights). I primi implicano che qualcun altro ha un dovere correlativo; i secondi, invece, implicano che qualcun altro non ha un correlativo diritto.

Ad esempio, il diritto alla salute (diritto-pretesa) implica il dovere di fornire cure mediche; mentre il diritto alla libertà di movimento implica che gli altri non hanno alcun diritto sul mio movimento. La libertà di parola appartiene chiaramente ai diritti-libertà e non ai diritti-pretesa.

I diritti-pretesa e i diritti-libertà sono diritti di primo livello, cioè pretese e libertà su stati di cose. Ma ci sono anche diritti di secondo livello, ovvero diritti che possono intervenire sui diritti altrui: poteri e immunità. Il potere è la capacità di modificare i diritti altrui di primo livello, l’immunità è il diritto di non avere i propri diritti di primo livello modificati da qualcun altro.

Ad esempio, l’autorità giudiziaria ha un potere di limitare la mia libertà di movimento (con la detenzione); mentre chi gode di immunità diplomatica o parlamentare ha un diritto che lo protegge da tale potere. Anche i diritti di secondo livello hanno dei correlati: il correlato del potere è l’altrui passibilità (liability), quello dell’immunità è l’incapacità (disability). 

Cosa ci possono dire queste distinzioni sul caso in questione? Innanzitutto, che il diritto di parola non implica nessun dovere correlativo negli altri. Il diritto di parola non implica il dovere di ascolto, né tantomeno il diritto di poter parlare in un luogo e contesto specifico.

Per sostenere che ad una persona sia stato tolto il diritto di parola, non è sufficiente dire che non ha potuto parlare in un certo contesto, se questa persona ha altre possibilità di espressione. Quindi la partecipazione di Caffo alla fiera in questione non è regolata da una mera questione di diritti, bensì da regole più sfumate e contestuali di opportunità morale e sociale.

La teoria di Hohfeld ci dice anche qualcos’altro di questa confusione colpevole sul significato dei diritti. Nel leggere la lettera di Caffo, la video risposta di Chiara Valerio ha denunciato la veemenza delle proteste alla partecipazione di Caffo come una violazione del suo diritto di parola.

Così facendo ha cercato di trasformare un diritto-libertà di Caffo, che ha il valore e i limiti che abbiamo visto, in un diritto-immunità garantito dalla presunta violazione del diritto di parola. Giocando la carta del vittimismo, ha cercato di trasformare un dibattito su una questione sostanziale (è opportuna la presentazione del libro di Caffo?) in un presunto diritto dell’interessato a imporre al pubblico la propria presenza.

Ha cercato, quindi, di trasformare un diritto-libertà, che non implica nessun dovere o soggezione del pubblico, in un diritto-immunità: un’immunità che avrebbe Caffo da ogni altra considerazione di opportunità e sensatezza.

Tutto questo ci porta a una conclusione forse un po’ ovvia ma necessaria: chi ha visibilità pubblica non può trincerarsi dietro un presunto diritto che prescinde da ogni altra considerazione. Al diritto di parola non corrisponde un diritto di essere ascoltati in qualsiasi contesto, bensì un dovere di uso responsabile del proprio ruolo.

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