Il 14 dicembre entrerà in vigore il nuovo codice della strada voluto dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini e una delle novità che più fanno discutere è quella che riguarda il ritiro della patente a chi risulti positivo a una qualche sostanza stupefacente, con l’eccezione dell’alcool.

Le modifiche introdotte all’articolo 187 del codice della strada, infatti, prevedono che sia punibile con ritiro immediato della patente per tre anni (oltre che con l’arresto fino a un anno e la multa fino a 6mila euro) il conducente che risulti positivo a un test antidroga. Mentre per l’alcool bisognerà continuare a dimostrare lo stato di ebbrezza (ovvero di avere un tasso di alcolemia oltre lo 0,5 g/l), per le altre sostanze bisognerà dimostrare la mera positività.

Cosa cambia

Qual è la differenza con quanto accadeva prima? Che la norma in precedenza stabiliva che bisognasse dimostrare lo stato di alterazione. La mera positività, infatti, non dimostra da sé l’incapacità di mettersi alla guida in sicurezza e ciò vale in particolare per i cannabinoidi. La cannabis, infatti, in consumatori abituali è rilevabile nella saliva anche 80 ore dopo l’ultima assunzione, e dopo 13 ore per i consumatori occasionali. E addirittura la cannabis light (quella con THC, la molecola psicotropa, sotto lo 0,3 per cento) resta nella saliva anche 5-6 ore.

Si tratta di parametri estremamente variabili che dipendono da molti fattori: il peso, il sesso, il metabolismo, eccetera. Raggiungere il livello zero nella saliva è dunque molto problematico.

Il problema dei test

Ma a questa utopia repressiva si aggiunge un altro problema: ovvero quello dei metodi di rilevazione in dotazione alle forze dell’ordine. Intanto: la disponibilità di drug test ai posti di blocco è sempre stata molto limitata in Italia: nel 2022 i test salivari fatti su strada sono stati 3.400 in tutto il paese. Generalmente in presenza di un sospetto stato di alterazione le forze dell’ordine avevano - e hanno - la facoltà di accompagnare la persona fermata presso una struttura sanitaria per sottoporti ad analisi cliniche.

È con il governo Meloni che si arriva, nel dicembre 2023, a un accordo interistituzionale tra presidenza del Consiglio, Arma dei Carabinieri, Polizia di stato e Guardia di finanza, che stanzia 9,8 milioni di euro per l’acquisto di “materiali, attrezzature e mezzi per implementare le attività di controllo dell'incidentalità notturna”. Per comprare i drug test, insomma, oltre che per “attività di sensibilizzazione e di formazione degli utenti della strada” per prevenire gli incidenti droga-correlati.

Impegnati i fondi, i vari corpi si organizzano per acquistare i test. Peccato che ognuno scelga una tipologia diversa, con diversi cut-off, ovvero limiti di rintracciabilità della sostanza.

Le differenze tra i test di carabinieri e polizia stradale

L’Arma dei Carabinieri acquista per 1,5 milioni di euro dalla Forensic Lab Service, società con sede a Roma, 51mila test salivari del tipo "DrugWipe 5S". Si tratta di un tampone salivare che, grazie all’uso di un reagente, è in grado di rilevare l’assunzione di cinque sostanze stupefacenti, specificando quale tra: cannabis, oppiacei, cocaina e anfetamine/metanfetamine (compresi MDMA ed ecstasy).

Il risultato del test è visibile in otto minuti ed è positivo se la concentrazione nella saliva di THC è pari a 10 ng/ml o superiore.

La polizia stradale invece sceglie un altro metodo: dei rilevatori portatili prodotti da Abbott che rilevano la positività a sei tipi diverse di sostanze (anfetamina, benzodiazepine, cannabis, cocaina, metanfetamina, oppiacei). Il limite di rilevabilità per ogni sostanza è diverso, quello per la cannabis è 25 ng/ml.

risultati diversi

Per capirci: se hai consumato cannabis e ti fermano i carabinieri è più probabile che tu risulti positivo rispetto a se ti ferma la polizia.

In entrambi i casi, comunque, la positività al test non corrisponde allo stato di alterazione. Il test salivare, infatti, può rappresentare certamente un indizio di un eventuale consumo di THC, ma allo stato attuale non risulta rappresentativo né di un rischio stradale concreto, né di un consumo recente.

Per concludere due cose. La prima: in Italia non c’è un’emergenza di incidenti stradali causati dalle sostanze e tantomeno dalla cannabis. I dati del dipartimento delle politiche Antidroga ci dicono che il 3,3 per cento degli incidenti stradali con lesioni è droga-correlato (la prima sostanza è la cocaina) e il 9,1 per cento è alcol-correlato. Ma sull’alcool gente come il senatore Claudio Borghi si è affrettata a rassicurare gli elettori sul fatto che possono continuare a mettersi al volante dopo «essersi scolati una bottiglia di vino».

La seconda cosa: come si regolano nei paesi che hanno legalizzato la cannabis? Semplicemente hanno stabilito una soglia: per esempio in Germania l’hanno fissata a 3,5 ng/ml, in Canada a 5 ng/ml. Un criterio certo e trasparente che permette a tutti di regolarsi.

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