Col discorso agli iraniani di due giorni fa, Netanyahu ha di fatto dato il via all’operazione più ambiziosa: rovesciare il regime degli ayatollah. Una linea d’azione che potrà ridisegnare l’intera area, sancendo una svolta epocale non solo per lo Stato ebraico
La trappola è scattata, l’ora X dello scontro frontale in Medio Oriente appare vicina. Le parole di Benjamin Netanyahu, questa volta del tutto allineate con il sentire dell’Idf e di tutto Israele e, direi, della gran parte dell’area mediorientale non lasciano molti dubbi: «Quando l'Iran sarà finalmente libero, e quel momento arriverà molto prima di quanto la gente pensi, tutto sarà diverso».
Ed ancora, «quando quel giorno arriverà, la rete del terrore che il regime ha costruito in cinque continenti sarà in bancarotta e smantellata l’Iran prospererà come mai prima d’ora».
Ed infine, rivolto direttamente ai milioni di giovani e non che hanno subito la ferocia del regime e della repressione iraniana in questi anni e con cui lo Stato ebraico chissà da quanto tempo è in strettissimo contatto: «In questo momento cruciale, voglio rivolgermi a voi, popolo dell'Iran. Voglio farlo direttamente, senza filtri, senza intermediari.
Ogni giorno vedete un regime che vi soggioga, che pronuncia discorsi infuocati sul difendere il Libano, difendere Gaza. Eppure, ogni giorno, quel regime spinge la nostra regione sempre più nella tenebra e sempre più nella guerra. Con ogni momento che passa, il regime vi sta portando — voi, il nobile popolo persiano — sempre più vicini all’abisso La stragrande maggioranza degli iraniani sa che al loro regime non importa un fico secco di loro. Questo regime ha sprecato miliardi di dollari in guerre inutili invece di investire nell'economia del paese e nel suo futuro. Da Qom a Esfahan, da Shiraz a Tabriz, ci sono decine di milioni di persone buone, con migliaia di anni di storia alle spalle e un futuro brillante davanti a loro».
Inutile negarlo, sono parole di chi sa già come andrà a finire. E non paiono frasi retoriche buttate lì a casaccio, ma un vero e proprio programma d’azione.
Il piano è già partito con lo scacco matto subito da Teheran dopo l’attacco plurimo al Libano, che ha dimostrato un abisso tecnologico e militare che separa lo Stato ebraico da tutti gli altri attori della regione messi assieme.
Del resto, questa è sempre stata la dottrina, mutuata dal vecchio adagio inglese: avere una flotta almeno il doppio più potente rispetto alla somma di tutti i Paesi circostanti.
Non avendo alcuna possibilità Israele di invadere l’Iran via terra, sembra prefigurarsi, come risposta all’attacco iraniano, una manovra a tenaglia con un coordinamento fra forze israeliane e opposizione interna.
Uno scenario che lascia presagire davvero le immagini già viste durante le primavere arabe, fino a quella truce di Gheddafi linciato dalla folla.
Del resto, quello degli ayatollah è stato un regime sanguinario. Solo nel 2024 impicca una media di sette persone al giorno. Con l’aiuto di Israele, i giovani e le giovani oppressi/e per cui ci siamo spesi (poco) in questi anni potrebbero davvero raggiungere quel regime change impossibile da costruire dall’esterno.
Dobbiamo ammetterlo, si tratta di uno scenario, in cui non mancano mille imprevisti, che sconvolge le nostre categorie interpretative. Senza finanziamenti dall’Iran, tutta la rete cadrebbe come una foglia secca, esposta alla ferocissima reazione del mondo musulmano a loro avverso.
A voglia dire che Hamas, Hezbollah e tutti quanti sono delle idee. Ma anche le idee hanno bisogno di soldi per essere realizzate. Si aprirebbe una caccia all’uomo in ogni Paese islamico, rischierebbe anche Assad e sarebbe un colpo molto duro anche per la Russia.
Tutti abbiamo scritto contro l’allargamento del conflitto. Tutti abbiamo indicato Netanyahu come il guerrafondaio di turno, a cui serviva allungare la guerra per restare al potere. Era vero il contrario: per ridurre i tempi del massacro di Gaza e dargli una prospettiva, bisognava assecondare un piano di riscrittura del Medio Oriente, che il Mossad, pare evidente, preparava da anni, con la benedizione di America e Arabia Saudita.
Ora, se Israele seguisse i binari tracciati dal discorso di Netanyahu, dove staremo noi? Coi giovani che si ribellano e che vedono gli israeliani come liberatori esattamente come per noi furono gli americani nel ’43, o con il regime sanguinario, che li ha schiacciati fino ad oggi?
L’intellighenzia europea saprà rinunciare alla retorica antisionista risolvendo le contraddizioni che l’hanno portata a «empatizzare» kefiah al collo con queste sigle del terrore? La storia rischia di chiamarci all’appello, sapremo scegliere la parte giusta?
© Riproduzione riservata