La macchina della riscossione nel nostro paese fa acqua e mostra numeri semplicemente spaventosi perché per renderla funzionante occorre mostrare al cittadino la faccia a volte (purtroppo) inflessibile – e anche cattiva – dello Stato. Faccia che nessuno vuole mostrare
Sono bastate due ben documentate audizioni alla commissione Finanze della Camera per mettere a fuoco la sostanza del sistema fiscale italiano: chi può evade; chi non può semplicemente non paga. E sì, perché un tributo non deve essere solo individuato come dovuto (per autodichiarazione o per accertamento da parte del fisco): ma deve anche essere effettivamente pagato. O riscosso coattivamente, se chi lo deve non lo paga.
Le audizioni in questione mettono in risalto, invece, che la macchina della riscossione fa acqua e mostra numeri semplicemente spaventosi.
Le due audizioni
Il primo punto è la dimensione già stratosferica ma, incredibilmente, addirittura crescente dei crediti non riscossi. Nel 2015 il Treasurer dell’epoca (Pier Carlo Padoan) chiese al Fondo monetario internazionale di accertare la dimensione di questo fenomeno, e questi rispose che si trattava di 1.051 miliardi di euro. Equitalia li valutò 1.058. Ebbene, nell’audizione di qualche giorno fa questa montagna è stata prezzata 1.279,9 miliardi.
Cioè non solo non è diminuita attraverso ben 4 rottamazioni (che, si badi bene, avrebbero dovuto intaccarne la dimensione in valore assoluto, ancorché con la riscossione di importi scontati per renderne invitante l’accettazione): ma è addirittura aumentata. E non di pochi spiccioli, ma di oltre 200 miliardi! Questa cifra mostruosa (75% del Pil), frutto di anni di accumulo, viene considerata recuperabile non in toto, ma solo per 567 miliardi; se ne danno per persi almeno 537 e, forse, trattabili altri 167.
Questi valori, per quanto sconfortanti, paiono però fin troppo ottimistici e forse presentati come tali solo per giustificare l’ennesima rottamazione (la quinta). E sì, perché nel 2016 la parte dei crediti non pagati effettivamente aggredibile fu valutata in (solo) 51 miliardi sia dal Fmi che da Equitalia; in tempi più recenti l’Agenzia delle entrate li ha valutati importi varianti fra 81 e 100 miliardi. Cifre lontanissime dai 567 miliardi indicati da Roberto Benedetti, incaricato all’uopo dal viceministro Leo.
Una valutazione davvero molto ottimistica, sorprendente e, al momento, priva di giustificazioni. Ma come si è potuta creare questa spaventosa montagna? La ragione principale sta nelle plurime inefficienze di sistema. Innanzitutto il tardivo avvio dell’attività di riscossione, che fa sì che gli uffici erariali si attivino solo a ridosso delle relative prescrizioni e raramente nell’immediato verificarsi dell’omissione del versamento. Col risultato che spesso i buoi scappano prima. Poi, diciamolo, l’eccesso di garanzie offerte a chi non paga (vedi impignorabilità della prima casa a prescindere dal relativo valore).
Poi ancora la ridondante sequenza di adempimenti procedurali con facile inciampo in qualche difetto di notifica, intestazione, computo, formulazione dell’atto, etc. E, infine, il sostanziale disinteresse della grande politica – quando non addirittura il nascondimento della propria presenza – quando si tratta di riscuotere coattivamente anziché concedere anche minuscoli benefici (tassa dovuta indicata come “pizzo di Stato” in una infelice dichiarazione della premier).
C’è anche la farraginosa procedura di cancellazione di crediti inequivocabilmente inesigibili (morte del contribuente o fallimento dell’impresa debitrice). Unico argomento, questo, su cui la recente riforma tributaria è intervenuta (ma forse qui con un eccesso di spirito liberatorio).
Lo Stato non è mai cattivo
Fatto è che la macchina della riscossione ristagna perché per renderla funzionante occorre mostrare al cittadino la faccia a volte (purtroppo) inflessibile – e anche cattiva – dello Stato. Faccia che nessuno vuole mostrare. Meglio riscuotere le imposte attraverso le ritenute alla fonte in cui il cattivo appare, semmai, il sostituto d’imposta che lavora per lo Stato, ma non chi lo Stato ha il compito di far funzionare.
Il secondo punto è che, visto che i crediti d’imposta da riscuotere sono così elevati, c’è sempre qualcuno che propone la soluzione “Pochi, maledetti e subito”. Ma anche in questo caso sono gli addetti ai lavori – l’Agenzia delle entrate in prima persona – a dire che questa aspettativa, oltre che eticamente poco apprezzabile, è economicamente perdente.
Le quattro rottamazioni realizzate fra il 2016 e il 2024, a fronte di crediti potenziali per 161 miliardi (stimati incassabili per 112), ne hanno fruttati solo 48. Inoltre i crediti non riscossi che si sono formati nello stesso periodo (cioè importi non pagati alla scadenza) sono attribuibili a recidivi (cioè a contribuenti che hanno già un precedente mancato pagamento) per il loro 77%.
Insomma: non solo la rottamazione ha fatto incassare appena il 43% di quanto sperato (e messo in bilancio), ma ha palesemente diseducato i contribuenti che vi hanno aderito, così da spingerli a reiterare il medesimo comportamento nell’occasione successiva.
A questi due evidenti danni se ne aggiunge un terzo: l’azione dell’Agenzia – a detta del suo direttore – viene frenata dalla necessità di concentrarsi sulle relative scadenze, con allontanamento dalle ordinarie procedure di accertamento e riscossione la cui programmazione viene così sistematicamente messa in crisi. Abbiamo davvero bisogno della rottamazione 5?
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