- Per spiegare la sfida con le potenze del capitalismo autoritario (Cina, Russia) spesso si ricorre a paragoni storici: la Guerra fredda, la sfida con le potenze dell’Asse, quella fra Germania e Inghilterra che sfociò nel primo conflitto mondiale.
- Tutti questi paragoni, più o meno calzanti, hanno un aspetto in comune: sono rassicuranti per noi, l’Occidente, che vinse tutte e tre le volte. Sono autoconsolatori.
- Oggi la competizione è molto più difficile. Proprio per questo, per vincerla dobbiamo rendere il nostro sistema più attrattivo e più coerente con le sue premesse ideali.
Siamo davvero in una nuova Guerra fredda, con le potenze del capitalismo autoritario? All’epoca dell’Unione sovietica, i due sistemi ideologici contrapposti si traducevano anche in due sistemi economici, e sociali, alternativi. Oggi, sebbene ci siano ovviamente differenze profonde di tipo politico e valoriale, il sistema economico è in sostanza lo stesso. Intendiamoci, per questo la contesa finora è stata anche meno acuta: i due blocchi cooperano fra di loro, si scambiano informazioni, e merci e capitali, molto più di quanto non accadesse ai tempi della Guerra fredda.
Tuttavia, il fatto che oggi ci si misuri in sostanza all’interno di un unico sistema economico ha anche un’implicazione assai meno rassicurante, per noi. La Guerra fredda fu vinta perché il blocco comunista, pure al netto di qualche slancio iniziale, perse platealmente la competizione economica con il modello capitalista.
Le economie pianificate erano meno efficienti e meno innovative di quelle di mercato. Oggi la situazione è molto diversa. In entrambi i casi abbiamo economie capitaliste di mercato, con più o meno intervento pubblico. Ambedue i «modelli» sanno produrre innovazione.
Entrambi rivendicano una valida promessa di prosperità, per i loro cittadini: un orizzonte di benessere materiale, cui noi aggiungiamo (in teoria) anche i diritti dell’uomo, complessivamente intesi; i regimi del capitalismo autoritario vi aggiungono (e sempre in teoria) la retorica della sicurezza, privata e nazionale.
Il paragone con l’Asse
Messa in questi termini, un paragone storico più appropriato è quello con le potenze dell’Asse, negli anni Trenta e Quaranta. Anche lì infatti, nonostante le profonde differenze ideologiche, ci troviamo all’interno di un unico sistema economico: la Germania nazista, l’Italia fascista e il Giappone imperiale erano paesi capitalisti, sebbene con una forte guida politica e velleità da «terza via» (il corporativismo). La Germania era tecnologicamente all’avanguardia e il Giappone in rapidissima espansione; come ora, variatis variandis, la Cina.
Inoltre quei regimi hanno sfidato le liberal-democrazie in una fase in cui queste attraversavano un periodo di gravi difficoltà e ripensamenti, per gli effetti della Prima guerra mondiale e l’inizio della decolonizzazione, e poi per la crisi economica del 1929. Il mondo liberal-democratico di oggi, per la crisi economica del 2008 e 2010-11, i problemi ambientali e poi la pandemia Covid, per certi versi sta vivendo una fase simile, di turbolenze e cambiamenti: la messa in discussione e in parte l’abbandono dei fondamenti neo-liberali delle nostre economie e società, così come la Grande guerra e la crisi del 1929 avevano messo in scacco le idee del liberalismo classico.
Anche in questo caso, però, ci sono alcune differenze fondamentali rispetto ad allora. E che dovrebbero farci preoccupare. Primo, i nazisti e i loro alleati erano molto più ideologici, e molto meno pragmatici, di quanto siano oggi la Cina e i loro alleati. Di fatto, i nazifascisti e i giapponesi negli anni Trenta e Quaranta erano dei fanatici e il loro fanatismo fu di ostacolo nella conduzione della guerra, sia sul piano tattico sia strategico. La Cina, al contrario, è estremamente pragmatica. Più pragmatica e più «realista» anche di noi. È disposta a fare affari e a investire in qualsiasi paese, indipendentemente dal suo sistema politico e dall’ideologia che vi si professa.
La seconda differenza è che le potenze dell’Asse avevano molte meno risorse, uomini e materie prime, rispetto ai loro avversari. Oggi invece la Russia, la Cina e i loro alleati hanno risorse «umane» (la Cina) e materiali (soprattutto la Russia, ma non solo), strategiche e non, paragonabili in linea di massima a quelle del blocco occidentale, se non addirittura maggiori, in alcuni contesti.
La Cina come l’impero tedesco?
Il terzo paragone storico è con la situazione che precede lo scoppio della Prima guerra mondiale. La Cina, nel ruolo dell’impero tedesco: la grande potenza emergente, che domina la massa continentale, la nuova manifattura industriale del mondo. Gli Stati Uniti, nel ruolo della Gran Bretagna: la potenza egemone, ma in declino. Anche allora entrambi gli imperi, e i loro alleati, erano capitalisti. Inoltre avevano legami molto forti fra loro, economici e finanziari, benché avessero iniziato una serrata competizione commerciale, e geo-politica, per molti versi simile a quella di oggi.
E tuttavia anche in questo caso c’è una differenza non da poco, e preoccupante per il nostro campo. La Germania imperiale combatté la prima guerra mondiale quasi da sola, i suoi pochi alleati (Austria-Ungheria, Bulgaria e Impero turco) non essendo nemmeno in grado di restare in piedi da soli, a lungo, senza l’aiuto tedesco. La Cina oggi ha un potente alleato, la Russia, che, benché in declino sul piano economico, è militarmente forte, geo-politicamente assertiva, e non certo paragonabile allo scricchiolante impero austro-ungarico. Semmai è l’Unione europea, cioè il principale alleato degli Stati Uniti, paralizzata dalle sue divisioni interne, ad assomigliare all’Austria-Ungheria di oltre un secolo fa.
Lezioni dalla storia?
A ben vedere, tutti e tre questi paragoni storici hanno un aspetto in comune, che non a caso è anche il loro limite principale: sono rassicuranti, per noi. In tutti e tre quei contesti, l’occidente liberal-democratico, guidato dall’Inghilterra e poi dagli Stati Uniti, è uscito vincitore.
La sfida adesso è molto più difficile. Complessivamente le carte in mano a Cina, Russia e loro alleati sono migliori di quelle che, nelle diverse fasi storiche, possedevano i tedeschi e gli austro-ungarici, o i nazi-fascisti e i giapponesi, o i paesi del blocco sovietico. Attenti quindi a prendere la storia come riferimento (una storia in cui l’occidente ha sempre vinto). Potrebbe essere ingannevole. Potrebbe generare false illusioni.
Ma proprio per questo, proprio perché oggi per diversi aspetti la contesa si profila molto più incerta, occorre calibrare bene la strategia di risposta. Sarebbe sbagliato, oltre che molto pericoloso, pensare di poter vincere la sfida con il capitalismo autoritario solo sul piano muscolare. Proprio su questo, invece, conviene trarre qualche buon insegnamento dalla storia che abbiamo alle spalle, cioè dalla Guerra fredda.
Che fu certo anche calda, in diversi contesti, in Asia come in Africa e in America Latina, combattuta anche in modo sporco, sia da parte del blocco sovietico che da parte occidentale. Ma la Guerra fredda fu vinta, alla fine, senza passare per un vero conflitto armato su larga scala, perché i paesi (e i cittadini) del blocco sovietico vennero dalla nostra parte. Perché il nostro modello, grazie al compromesso social-democratico e alle capacità di crescita e di inclusione delle liberal-democrazie rinvigorite dal welfare state, si dimostrò più attrattivo del «socialismo reale».
Meglio in grado di soddisfare le sue promesse: benessere diffuso, libertà, diritti. Da notare che negli ultimi decenni proprio questa capacità è stata pesantemente compromessa, in sintesi per le conseguenze delle politiche neo-liberali che hanno ricominciato ad allargare la forbice delle disuguaglianze dentro i paesi occidentali; indebolendo così anche la tenuta democratica, aprendo la strada alla fascinazione autoritaria, all’irruzione di forze illiberali perfino nel campo occidentale, nel nostro stesso campo.
Se vogliamo vincere la competizione geo-politica con la Cina e con la Russia, innanzitutto dobbiamo pensare a come rendere, oggi, le nostre democrazie e società più coerenti, con le loro premesse ideali, e quindi più «attrattive». A come mettere in campo politiche efficaci che siano in grado di ridurre le disuguaglianze, a come fronteggiare la crisi ambientale e governare lo sviluppo tecnologico in direzione dei diritti dell’uomo, mantenendo la capacità di innovare e creare benessere. Come ai tempi della Guerra fredda, dobbiamo innanzitutto convincere chi vive nei regimi del capitalismo autoritario che il nostro sistema risulta, a tutti gli effetti, preferibile al loro.
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