Si rincorrono troppe voci su al Jolani (al Sharaa ormai), il leader della rivoluzione che ha fatto cadere il regime degli Assad. Qualcuno dice che non sia neppure siriano, ma iracheno. Poi c’è la questione Isis: essere stati arrestati al Camp Bucca non è prova di adesione allo stato islamico nascente.

Al Jolani ha avuto una troppo stretta relazione con il successore di Bin Laden, Ayman al Zawahiri, per essere stato simpatizzante dei suoi peggiori nemici. All’epoca della prima fase della guerra siriana ha combattuto duramente contro i seguaci del califfo.

D’altronde l’Isis siriano ha rilasciato un comunicato chiaro dopo l’entrata di Hayat Tahrir al Sham a Damasco: «La vittoria di Hts è una rivoluzione empia incapace di instaurare la sharia». La moderazione con cui i jihadisti di Hts si stanno presentando nella Siria liberata non è improvvisata, ma ha una storia.

Rapporti storici

Fin dall’estate del 2022 il leader jihadista aveva incontrato pubblicamente i capi delle comunità cristiane della sacca di Idlib, sotto controllo turco. L’obiettivo dichiarato era di ascoltare le rimostranze dei cristiani. Una cosa sorprendente perché al Jolani ha un percorso controverso: capo della sezione siriana di al Qaeda, si era trovato in una situazione difficile con il manifestarsi dell’Isis.

Tra il 2014 e il 2015 la ribellione siriana era molto frantumata e al Qaeda e lo Stato islamico erano in competizione per federarla o sottometterla. Con l’Isis sempre più egemonico, le relazioni tra le due sigle erano giunte al punto di rottura definitiva. I qaedisti scelsero di avvicinarsi all’opposizione armata dell’Esercito libero siriano (Sla), la parte equipaggiata dall’Occidente e dalla Turchia. In quel frangente al Qaida siriana cambiò nome in Jabhat al Nusra, prendendo parte a feroci combattimenti contro lo Stato islamico.

Le sue tecniche di guerriglia (tra cui l’utilizzo dei camion-kamikaze) permisero di contenere la violenza assoluta del Daesh, e furono presto imitate dai vari gruppi dell’opposizione armata siriana. Verso la fine di quella fase della guerra, una volta sconfitto l’Isis, ai nemici del regime di Assad non restò che trincerarsi nella ridotta di Idlib sotto protezione turca: i russi infatti avevano ribaltato l’esito della guerra.

A quel punto al Jolani aveva mutato nuovamente il nome della sua organizzazione in Hayat Tahrir al Sham, cercando di affermarsi nell’area come egemone. Ciò ha implicato un rimodellamento dell’immagine del gruppo in senso aperturista e meno settario. Al Jolani iniziò a comunicare che Idlib non era più un’area jihadista, ma piuttosto un’entità islamica semimoderata e non ostile alle minoranze.

Con ogni probabilità la Turchia ha spinto per tale evoluzione cercando la stabilizzazione. La volontà turca puntava ad alleggerire la stretta russo-siriano-iraniana attorno alla sacca di Idlib (sottoposta a endemici bombardamenti dell’aviazione di Assad). A tale scopo serviva un movimento armato unitario, disciplinato e ben organizzato.

Il futuro

Dopo l’accordo di cessate il fuoco russo-turco del marzo 2020, l’Hts ha progressivamente guadagnato in autorevolezza e aumentato la propria credibilità neutralizzando i gruppuscoli più estremisti ed espellendo la sua ala più intransigente. Di conseguenza in tutta l’area c’è stato un generale miglioramento nel trattamento dei cristiani e delle altre minoranze (in particolare i drusi), modificando la politica seguita fino ad allora. In quell’occasione al Jolani promise maggior attenzione ai reclami a riguardo della restituzione delle proprietà che la stessa al Nusra aveva sequestrato ai cristiani fin dal 2015.

Il leader aveva anche accettato di formare un comitato per esaminare le richieste e restituire ai cristiani parte delle loro terre, campi o attività commerciali. Infine a Idlib dal Natale 2021 le chiese avevano riottenuto il permesso di celebrare pubblicamente le proprie cerimonie e di suonare le campane all’aperto (cosa che in genere nemmeno i regimi moderati sunniti concedono).

L’aspetto più doloroso delle persecuzioni contro i cristiani erano stati i rapimenti a scopo di riscatto, con torture, violenze e uccisioni, su cui il leader di Hts promise di fare luce. All’inizio le associazioni per la difesa dei diritti umani avevano definito la nuova politica di al Jolani come un tentativo di maquillage per far rimuovere l’Hts dalla lista delle organizzazioni terroristiche (cosa ancora non ottenuta).

Successivamente i fatti avevano dimostrato che – almeno in parte – le intenzioni erano più serie di ciò che si prevedeva. Nonostante l’annuncio di essersi dissociata ufficialmente dalla rete di al Qaida (dopo la morte di al Zawahiri con cui al Jolani era rimasto sempre in contatto), molti osservatori ancora considerano Hayat Tahrir al Sham come un raggruppamento jihadista anche se pragmatico.

Una medesima politica ora si espande a tutta la Siria: Jolani ha fatto sapere pubblicamente che non ci saranno repressione né vendette, nemmeno nei confronti di chi ha collaborato con il regime di Assad. Difficile prevedere cosa accadrà: esiste la possibilità che i jihadisti si siano riformati convertendosi in versione moderata?

Alcuni esperti lo vogliono credere, anche perché la Turchia controlla ogni azione. I cristiani di Idlib stanno garantendo in suo favore. Si vedrà anche se i milioni di rifugiati (quasi tutti sunniti) vorranno tornare a casa.

Il paese è da ricostruire (Assad non aveva nemmeno iniziato) e le conseguenze della lunga guerra tutte da affrontare. Probabilmente, più che con il fondamentalismo islamico, la Siria dovrà fare i conti con la convivenza tra etnie diverse e contrapposte. Riconciliare gli alawiti con i drusi e i sunniti e integrare i curdi: queste sono le vere sfide imminenti per i nuovi dirigenti siriani.

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