Con la pubblicazione del report, articolato in dodici punti, che dà conto dell’esito della discussione tra i 360 attivisti sorteggiati, la “rifondazione” del M5s entra nel vivo. Al netto delle dispute su nome, simboli, mandati elettivi, poteri del garante, il cuore politico della questione, semplificando, mi sembra riconducibile a un’alternativa: quella di un ritorno alle origini intestata al fondatore o quella, imboccata non senza funambolismi al tempo del governo Conte 2, di una scelta di campo per il fronte progressista che passa attraverso un rapporto stabile e privilegiato con il Pd.

Anticipo la mia opinione: la prima via rappresenterebbe una scorciatoia illusoria. Per molte ragioni che mi limito ad accennare per titoli: lo spirito del tempo è sensibilmente cambiato rispetto a quello che dominava alle origini del movimento; checché se ne dica, la coppia destra-sinistra rappresenta la regola della competizione politica entro i regimi democratici; da gran tempo, nel M5s, gli elettori di destra sono approdati a sponde più congeniali alla propria sensibilità; ammesso e non concesso che la strategia autonomistica e terzista prospettata da influenti suggeritori sia convincente, oggi il M5s non ha più il fisico (e il consenso) adeguato per praticarla; il tempo e i percorsi non sono indifferenti, forgiano un comune sentire con i compagni di viaggio.

Mi spiego: la reciproca frequentazione ha rispettivamente aiutato il M5s a emanciparsi da un arroccamento identitario antisistema e il Pd a correggere il suo profilo di partito governista schiacciato sull’establishment.

Guardare avanti

Tornare indietro, prima che inopportuno, è impossibile. Per converso, vi sono buone ragioni per andare avanti nella direzione di una stabilizzazione della collocazione nel campo progressista in un rapporto di cooperazione organica con il Pd. La prima: già in origine e ancor più oggi, per natura e cultura, il M5s, pur con le sue peculiarità (e qualche elemento di contraddizione), può essere definito (copyright di Bersani) una “sinistra di nuovo conio”.

Prima di dare vita al M5s Grillo, con fare sfidante, chiese di iscriversi al Pd. Secondo: la crescita del Pd e la tenuta di Avs sono lì a dimostrare che la bandiera dell’unità è quanto mai apprezzata dagli elettori. Terzo: a me pare che, volendo, vi siano issues in capo al movimento che possano caratterizzarlo, procurargli consenso e, insieme, arricchire l’offerta politica della coalizione di centrosinistra. Penso alla legalità, all’ambiente, alla lotta contro povertà e disuguaglianze. A ben vedere, questo era il nucleo delle istanze care al M5s.

Chi spinge i Cinque stelle nella direzione opposta o lo consiglia in tal senso, ovvero a un isolazionismo e a un rapporto antagonistico con il Pd, dà per scontato che, al dunque, a ridosso delle future elezioni politiche, di necessità una intesa la si farà.

A mio avviso, costoro trascurano tre elementi: a) è plausibile che i gruppi dirigenti dei partiti, con realismo e disincanto, proverebbero a stringere un’alleanza, ma, tra gli elettori, non sarebbe agevole rimontare i solchi scavati per anni; b) il tempo che ci separa da quell’approdo sarebbe per intero trapuntato da una sequela di sconfitte che minerebbero la fiducia degli elettori nella possibilità stessa di un’alternativa competitiva e vincente; c) i cultori della linea autonomistico-dialettica muovono da una sottovalutazione della minaccia rappresentata dalle destre al governo.

Nel tempo che ci separa dalle future politiche le cose non staranno ferme. Già involuzioni e deragliamenti allarmanti si sono registrati. Altri si profilano, tipo, scusate se è poco, la manomissione della Costituzione. Possono permettersi le opposizioni di procedere separate e dunque più deboli nell’azione di contrasto alle destre in parlamento e nel paese? Il motto “divisi oggi per colpire uniti domani” potrebbe risolversi in un autoinganno, con la divisione oggi che semmai si cristallizza domani.

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