Place Vauban ha ospitato in passato manifestazioni contro unioni omosessuali e leggi anti omofobia (le organizzava la “Manif pour tous”) e raduni antiabortisti dei pro vita (la "Marche pour la vie”). Non è un caso che l’estrema destra francese, il Rassemblement National, abbia scelto proprio questa come propria “comfort zone” per la sua manifestazione anti giudici. 

Marine Le Pen insiste: lotterà fino alla fine – «jusqu'au bout» – per l’Eliseo. Il 31 marzo il tribunale di Parigi ha sentenziato che le spettano due anni di braccialetto elettronico e la ineleggibilità a decorso immediato perché è lei il fulcro di un «sistema» che utilizzava impieghi fittizi di assistenti europarlamentari per dirottare gli stipendi (soldi europei) come fondi al Rassemblement National. La leader ha fatto ricorso e i giudici hanno garantito una decisione in appello entro l’estate 2026.

Nel frattempo Le Pen vuole usare l’indignazione come «motore supplementare» (mobilitazione di consenso) e a tal fine ha radunato i suoi sostenitori in piazza. Ha anche dichiarato che «non c’è in noi alcuno spirito eversivo, ma la lotta per chi è escluso dai diritti, non dai giudici ma da alcuni giudici». La leader non vuole dilapidare il lavoro lungo anni per penetrare le istituzioni e normalizzare l’estrema destra. Perciò per il raduno di piazza ha organizzato una vera e propria mise en scène, una messa in scena democratica e repubblicana.

Ed è questa la vera mossa eversiva: persino più degli attacchi ai giudici, il sabotaggio realizzato dall’estrema destra francese sta nel suo uso e abuso di parole e simboli repubblicani.

Messa in scena repubblicana

Sul palco, gli esponenti del partito e gli eletti sono stati disposti seduti in file ordinate, e hanno esibito tutti la fascia tricolore francese. Tra il pubblico, a prova di una «manifestazione pacifica e popolare» come da programma, è prevalso un unico simbolo: la bandiera tricolore, appunto. Una profusione di bandiere francesi. E se non fosse bastato, in chiusura del proprio intervento, Marine Le Pen stessa ha dato il via ai cori intonando l’inno: «Allons enfants de la patrie...». 

Per protestare contro l’ineleggibilità della propria leader il Rassemblement National dichiara di voler «salvare la democrazia». Sventola il tricolore, l’inno. Usa a profusione la parola «République» (la Repubblica), lo «stato di diritto» (lo stesso che i propri alleati a cominciare da Viktor Orbán smantellano senza che il RN avanzi la minima critica). Le Pen e Bardella descrivono la Francia come la patria della dichiarazione dei diritti dell’uomo messa sotto scacco da un certo «sistema». Per non farsi mancare nulla, Jordan Bardella parla della grandeur a rischio, nomina Napoleone. E come aveva già fatto Le Pen nel giorno della sentenza, cita il generale de Gaulle: «come diceva lui, la Corte suprema è il popolo».

La leader condannata arriva a paragonare la propria battaglia a quella di Martin Luther King. Ma cosa vuole fare davvero?

Trappola contro trappola

La sentenza di ineleggibilità ha messo il Rassemblement National davanti a un bivio tattico che al partito risulta come una trappola. Le Pen figlia ha infatti guidato l’estrema destra in un processo di mascheramento, istituzionalizzazione e compromesso. In particolare dalle elezioni presidenziali e legislative del 2022, l’RN ha moltiplicato la propria rappresentanza parlamentare, ha ottenuto incarichi istituzionali (vicepresidenze d’aula per cominciare). Ha anche dialogato con quel sistema che in piazza critica indirettamente: questa estate sono state rivelate le cene tra macroniani e lepeniani, e una forma di intesa con il macronismo si vede quando il Rassemblement determina con il proprio appoggio esterno le sorti dell’esecutivo (come con quello a guida Barnier) o quando consente con le proprie astensioni tattiche a Macron di nominare il suo migliore amico alla presidenza del Consiglio costituzionale. 

Che la si chiami normalizzazione o «melonizzazione» –  per le affinità con la strategia della premier nostrana, che ha trovato una convivenza coi Popolari europei presentandosi come «pragmatica e moderata» ma che continua a portare avanti una agenda destrorsa e illiberale – questa via scelta da Le Pen può essere compromessa da una reazione scorretta alla sentenza. Se la leader sceglie l’attacco frontale alla magistratura e allo stato di diritto, se si «trumpizza» in stile Capitol Hill, vanificherà il percorso avviato e soprattutto sarà più difficile coinvolgere un elettorato moderato che può risultare determinante al ballottaggio 2027.

Dunque Le Pen schiva la trappola con una ulteriore trappola. 

Un altro tipo di eversione

Ovviamente sia lei che gli alleati Patrioti – con Matteo Salvini in testa – ripetono i loro attacchi ai giudici, a Bruxelles, al «sistema». Ma Le Pen in place Vauban si premura di dire che non si tratta di «trumpizzarsi». Deve mobilitare i suoi, ma al contempo non vuole scoperchiare il versante violento e sedizioso dell’estrema destra a scena aperta. «Non c’è in noi alcuno spirito di sédition (eversione)», sottolinea sul palco. 

La rottura del cordone sanitario contro l’estrema destra si regge in Francia su una “rottura discorsiva”, per usare l’espressione di un semiologo francese, Roland Barthes: le grandi mutazioni – diceva Barthes –  non sono legate tanto a eventi storici solenni ma a una rottura discorsiva. Ed è proprio quello a cui Le Pen lavora da tempo. È così che logora il cordone sanitario contro l’estrema destra, mentre in parallelo demonizza «l’estrema sinistra» (lo ha fatto anche da place Vauban) operando – proprio come e con Macron –  una conventio ad excludendum della gauche.

L’esclusione della France insoumise dal novero delle forze «repubblicane» non avrebbe potuto funzionare se prima non ci fosse stato il furto e il sabotaggio della parola “Repubblica”.

La falsa Repubblica

Il filosofo Michaël Fœssel ha spiegato bene questa mutazione del discorso in una intervista di qualche mese fa a Domani: «In Parlamento gli esponenti del RN arrivano in cravatta e si mostrano rispettosi del parlamentarismo, al quale erano storicamente contrari. Sarebbe errato concludere che l’estrema destra abbia rotto col passato e sia diventata repubblicana».

La chiave – dice bene Fœssel  – sta nel comprendere che cosa si intenda ora con «repubblicano». Lui lo spiega così: «Da circa vent’anni in Francia la parola “République” sta perdendo il suo significato di res publica, “cosa pubblica”, di tutti. In origine la Repubblica era una somma di princìpi che garantiscono libertà e uguaglianza costituzionali, e verso la quale il RN era contrario; oggi l’estrema destra riprende il termine, ma nel frattempo esso è mutato. Ormai nei discorsi pubblici – non solo dell’estrema destra ma perfino nei testi giuridici – viene definito antirepubblicano chi contesta la logica dominante; quindi anche i movimenti ecologisti, femministi, le manifestazioni contro la riforma delle pensioni… Siamo passati dalla repubblica dei princìpi, con vocazione sociale, a quella dei valori, che diventa escludente».

Quando Marine Le Pen sale sul palco di place Vauban e descrive la politica come «un sacerdozio laico», quando si professa difensora della «democrazia e dello stato di diritto», il punto è cosa intende davvero. La sua stretta alleanza con l’autocrate Viktor Orbán, al quale ha affidato il lancio pubblico dei Patrioti, o il fatto che il Cremlino si mostri «preoccupato per la democrazia francese» proprio come lei, rappresentano forti indizi a riguardo.

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