Quella andata in scena a Pontida è una propaganda strabica, che grida contro l’unità imperiale (oggi l’Unione europea) nel nome della sovranità statale. Ma in questo modo i leghisti danneggiano quel bene che spergiurano di voler onorare: l’Italia.
Lenin, che non era un centrista, scrisse nel 1920 un libro dal titolo, La malattia infantile della “sinistra” nel comunismo, dove la malattia dell’”estremismo” indicava l’attitudine, appunto infantile, di puntare i piedi contro le cose. Lo voglio!
Anche se la storia, il contesto, le circostanze suggeriscono prudenza. La massima di Lenin può ovviamente valere a giustificare il gesuitismo o l’opportunismo cinico, anch’esso una malattia.
Può anche suggerire una terza lettura: i partiti o i leader che vogliano perseguire uno scopo devono avere la capacità di addestrare le loro antenne cognitive per ben conoscere le persone e le cose del loro tempo. Un fine che non sappia accordarsi con i mezzi è estremista e vuotamente predicatorio. Può fare proseliti e mesmerizzare l’audience, ma fa male alla causa e, soprattutto, al malcapitato paese che lo soffre. Questo succede alla Lega di Matteo Salvini, e a noi che la soffriamo.
Sguardo a Pontida
La festa di Pontida che si è appena chiusa, è stata sorprendente. Fu inventata nel 1990 da Umberto Bossi, che le diede un’aura religiosa col rito pagano dell’acqua del Po nell’ampolla e un programma radicale: un federalismo secessionista contro il Sud di «terroni» e «ladroni».
Salvini rilancia quel programma (con l’autonomia differenziata) ma con linguaggio sovranista e in una cornice insieme internazionale e da strapaese. Un sincretismo alchemico.
Il federalismo di Bossi, che fece molti proseliti anche a sinistra, teneva insieme l’antisovranismo statale e il libertarismo economico: meno stato piú autonomia alle collettività, dismissione dell’apparato burocratico centralistico dovunque fosse, a Roma come a Bruxelles. Come sappiamo, l’anticentralismo accompagnò la formazione di quegli stati nazionali dell’Europa continentale che raggiunsero l’unità rendendosi indipendenti dagli imperi di cui erano parte, come appunto l’Italia e l’Ungheria. La difficoltà a costruire nazioni e l’uso dello stato per costruirle («fatta l’Italia, si facciano gli italiani») è il segno ancora pulsante della difficile miscela di sovranità statuale e identità nazionale.
Internazionale nera
Una difficoltà che è testimoniata della “malattia infantile della ‘destra’ nella destra” ovvero dalla propaganda salviniana. Una propaganda strabica, che grida contro l’unità imperiale (oggi l’Unione europea) nel nome della sovranità statale. Insomma fa il lavoro sporco dei centralisti al servizio dei federalisti – il progetto di autonomia differenziata si sposa con quello del centralismo bonapartista di Giorgia Meloni.
Ovvero: viva le sovranità nazionali, abbasso l’Europa. Con questo internazionalismo sovranista – tutti uniti oggi per essere meglio disuniti domani – Salvini si incorona leader della malattia infantile della destra, e punta i piedi perché vuole la luna. Il sovranismo è quanto di più anacronistico sia stato partorito dal populismo europeo dopo il Trattato di Maastricht.
La rivendicazione di un maggiore potere sovrano a livello statale nell’attuale contesto globale è miope a dir poco. Ignara della specificità delle nuove sfide esterne alla sovranità degli stati, che non provengono da attori imperiali e cosmopoliti premoderni, come la chiesa romana e l’Impero romano cristiano nel Cinquecento, ma da potentati finanziari post-industriali sorti all’interno della società civile grazie, ironia della sorte, al potere normativo degli stati nazionali.
Questi nuovi potentati hanno negli ultimi decenni ampliato le loro prerogative fino a sfidare l’autonomia delle sovranità statali (negli Stati Uniti, Elon Musk mira addirittura a entrare nel governo per sfasciare lo stato). Nati all’ombra di un potere sovrano che ha unificato l’ordine giuridico e amministrativo in territori definiti contro il pluralismo delle caste e degli ordini feudali, oggi i protagonisti della società economico-finanziaria globale sono così forti e autonomi da apparire sovversivi rispetto agli stati sovrani.
La globalizzazione è il teatro di una lotta per la sovranità; non più lotta tra stati o tra classi all’interno di una nazione, ma tra attori non politici (le multinazionali) e stati nazionali.
L’Unione europea, proprio per la sua enorme capacità di normare il mercato è il maggiore rivale di questi agenti globali. Chi ha un qualche rispetto per la sovranità dovrebbe essere europeista non sovranista. Perché la sovranità statale solitaria non solo è incapace di risolvere il problema della debolezza strutturale della politica nazionale in relazione alla finanza e alla tecnologia, ma è anche indirettamente corresponsabile di un vantaggio incrementale delle forze globali, come l’alleanza di Musk con i progetti sovranisti conferma.
La malattia infantile del sovranismo leghista danneggia quel bene che Salvini spergiura di voler onorare: l’Italia.
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