Nel secondo anniversario dell’arresto e dell’assassinio di Mahsa Amini il movimento per la libertà in Iran resiste, pensa. Per noi è facile aderire alle mobilitazioni indette da associazioni e personalità. Per le sorelle iraniane, per i ragazzi o i padri che si aggregano al dissenso contro il regime, significa rischiare carcere, discriminazioni o torture. Eppure non si rassegnano
Zan Zendegi Azadi”, in questi giorni si torna a gridare nelle piazze di Milano e Roma quelle tre parole “Donna Vita Libertà”. Mahsa Amini non c’è più ma la sua anima è viva, il suo nome un’icona per tante e tanti anche nel nostro paese. Nel secondo anniversario del suo arresto e del suo assassinio il movimento per la libertà continua in Iran, resiste, pensa. Per noi è facile aderire alle mobilitazioni indette da associazioni e personalità.
Per loro, per le sorelle iraniane, per i ragazzi o i padri che si aggregano al dissenso contro il regime, significa rischiare carcere, discriminazioni o torture. Eppure non si rassegnano e le donne sono il coraggio e l’intelligenza di quell’irriducibile desiderio di libertà. Non è un caso se nel 2003 Shirin Ebadi otteneva il Nobel per la Pace. Esattamente vent’anni dopo, quello stesso Nobel ha premiato Narges Mohammadi, attivista dei diritti umani, ancora in carcere e tra i simboli di quella lotta. Lei ci parla con un libro che restituisce le testimonianze di altre dodici imprigionate e oppresse dalla tortura bianca, forma crudele di incarcerazione.
Lei sceglie un titolo per quelle pagine, Più ci richiudono più diventiamo forti. Lei sa, e lo scrive, che pubblicare quel libro le aggiungerà altri anni di reclusione. Per me è stato commovente parlare alla Festa dell’Unità di Reggio Emilia con chi tutto questo ha attraversato e attraversa come Taghi Rahmani, il marito di Narges, esiliato a Parigi per mettere in sicurezza i figli, Kiana e Ali. Intanto, malgrado esecuzioni e arresti, molte donne si tolgono il velo, si tagliano un ciuffo di capelli. Rispondono con una rivoluzione pacifica alla violenza sui loro corpi.
Di fronte a tutto questo rifletti sulla potenza dei senza potere, la potenza di un gesto, di una canzone, di un pensiero che diventano una visione e un traguardo collettivi. Penso alle donne di Kabul a cui i Talebani vogliono togliere la voce, perché sguardo, parola sono parte di un corpo da annichilire e di una mente a cui vorrebbero imprigionare persino i sogni.
Scrive su X dal suo esilio la poetessa afghana, Shafiqa Khpalwak, «…i Talebani possono ridurci al silenzio con le loro leggi, ma non possono prendere le nostre voci. Noi scriveremo, leggeremo e resisteremo…». Negli stessi giorni scrive anche Azar Nafisi, l’autrice di Leggere Lolita a Teheran, «… le dittature hanno sempre tre obiettivi: le donne, la cultura, le minoranze… la mentalità totalitaria è assolutista, vuole il tuo cuore e la tua anima…».
Sì, la memoria insegna quanto vorrebbero il tuo cuore e la tua anima per ridurti a obbedire, a non vedere i crimini peggiori, a non sentire, o ancora di più a osannare, autocrati e dittatori. Ma quella stessa memoria ci racconta di riscatto, di resistenze, di possibili successi.
La memoria fa capire quanto i diritti umani siano la morale della storia e quanto su quei diritti sia in corso un conflitto globale tra oscurantisti di ogni specie e illuminati o semplicemente democratici. Gli aguzzini non riusciranno a strappare Mahsa Amini dai cuori. Tagliarsi un ciuffo o fischiare se non puoi parlare, inventare segni di ribellione, saranno simboli di chi proseguirà il cammino.
L’altra sera rivedevo un vecchio film, Selma, le marce nel 1965 della comunità afroamericana per il diritto al voto. Ma prima, nel 1955, una donna, Rosa Parks viene arrestata in Alabama per essersi rifiutata di cedere il posto a un bianco su un autobus e quell’atto ha spinto un intero movimento. Vedere Kamala Harris che con lo sguardo della speranza imbruttisce ancora di più (ed è difficile) Trump dice che nella grande storia c’è un filo globale indistruttibile: la libertà delle donne come condizione per la dignità di ogni persona.
Questo per me è il senso profondo del femminismo, impossibile da comprendere per chi, come l’attuale premier, non rinuncia alla nostalgia con l’altra storia, quella più buia del nostro passato.
Resto convinta che l’alternativa alla destra poggerà molto sulle proposte di Elly Schlein e insieme sull’utopia di una libertà che riscopra il valore della parola pace. Se ci credono donne pronte a sacrificarsi, per quella libertà, perché non dobbiamo essere al loro fianco, osando molto di più?
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