Quasi tutti i paesi membri dell’Onu, Stati Uniti compresi, chiedono che venga riconosciuta ai palestinesi una loro entità territoriale, autonoma e sovrana. Il mantra dei due popoli e due stati, adottato fin dagli anni Settanta ma inabissatosi in tempi di radicalismo islamico post 2001, è ritornato in auge dopo l’ennesimo scoppio di violenza tra le due parti.

Lo ha chiesto con forza Joe Biden come contropartita dell’amicizia senza limiti siglata con Israele alla vigilia dell’attacco a Gaza. Lo ribadiscono tutti gli stati democratici, e all’Onu 143 paesi contro 9, e 12 astenuti (Italia compresa), hanno votato una risoluzione che assegna alla Palestina lo status di paese candidato all’ingresso nelle Nazione unite.

Eppure ogni manifestazione di solidarietà con i palestinesi inciampa contro l’accusa di antisemitismo. Lascia sconcertati la reazione indignata della comunità ebraica di Bologna al gesto di solidarietà espresso dal sindaco Matteo Lepore, che, dopo l’ennesimo massacro di civili a Rafah, ha esposto la bandiera palestinese sul balcone del municipio.

Eppure, non c’è altra strada per chiudere la ferita mediorientale che il riconoscimento dell’esistenza e dell’autodeterminazione di un popolo. Ma gli estremisti dei due campi spingono in direzione contraria. Gli islamisti di Hamas e dintorni vogliono lo sterminio degli israeliani, così come il governo Netanyahu vuole l’espulsione dei palestinesi da Eretz Israel, dalla terra assegnata al popolo eletto nientemeno che da Dio.

Di fronte al massacro del 7 ottobre, Israele non ha saputo, né voluto, trattenere la sua forza, incommensurabile rispetto ad Hamas. Ne ha fatto un uso sproporzionato. Come si sa per antica saggezza, una reazione eccessiva a una offesa fa passare dalla parte del torto. Insistere sul vendicare i morti dell’assalto di Hamas per giustificare la carneficina e la distruzione sistematica a Gaza non ha più senso. Solo estremisti fanatici possono continuare a chiedere più morti e più distruzioni. E purtroppo sono ancora tanti in Israele, basti pensare a quei commentatori, megafoni della destra al potere, che hanno salutato con gioia l’incendio nel campo profughi di Rafah paragonandolo ai fuochi ben auguranti di una festività ebraica, Lag Ba’ Omer.

Solo la sinistra pacifista e democratica e giornali come Haaretz denunciano sistematicamente le torture e le uccisioni nelle prigioni israeliane di decine di persone, i saccheggi e le devastazioni nelle case, la distruzione sistematica di ospedali, scuole e università (le immagini dell’esplosione controllata, attuata con 315 mine, dell’università Israa, il 17 gennaio, sono impressionanti).

Per tutto quanto ha fatto Israele a Gaza ogni altro stato sarebbe già stato sanzionato dalla comunità internazionale. Ma questo paese gode ancora del salvacondotto della Shoah. Solo che questa è una macchia europea: non riguarda il resto del mondo. Non a caso un paese estraneo a quell’orrore, il Sudafrica, che ha realizzato il miracolo della ricomposizione non violenta dalla lacerazione prodotta da razzismo e apartheid, grazie a un leader come Nelson Mandela che aveva letto Gandhi in prigionia, si sente in diritto di accusare Israele di fronte alla giustizia internazionale.

La vendetta di Netanyahu e dei suoi estremisti porta il paese in un vicolo cieco. Gli sottrae simpatia e consenso. Un recente sondaggio Swg mostra che una maggioranza di italiani considera Israele un nemico dell’Europa. Quanto l’accanimento pro Netanyahu delle comunità ebraiche contribuisce a fomentare questo sentimento?

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